L’armata
Brancaleone. Mario Monicelli. 1966. ITALIA-FRANCIA.
Attori: Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria
Volonté, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella, Barbara Steele, Carlo
Pisacane
Durata: 120’
Faleri. Italia. Alto Medioevo. Un
villaggio è preso d’assalto da alcuni briganti e coloro che sopravvivono, dei
poveracci, derubano un cavaliere di passaggio di tutti i suoi averi. Fra il
bottino trovano una carta che nominava l’uomo proprietario del ricco feudo di
Aurocastro, con tanto di castello, nelle Puglie. Il gruppetto di poveracci
cerca allora di rivendere il documento al vecchio rigattiere ebreo Abacuc il
quale propone invece di passarlo ad un cavaliere il quale, giunto nel sud del
paese, sarà disposto a dividere tutto con loro. La scelta cade sul trasandato e
millantatore cavaliere Brancaleone da Norcia il quale, dopo essere stato
umiliato in un duello, parte con tutto il gruppo verso le Puglie. Sulla strada
l’armata incontra Teofilatto, cavaliere borioso con l’erre moscia che sfida Brancaleone
a duello per cedere il passo. Entrambi mostrano di non saperci fare e di non
voler rischiare più di tanto così, alla fine, finisce in tregua. Teofilatto
offre loro di andare dalla sua famiglia fingendosi ostaggio per domandare un
riscatto in oro. Brancaleone ed il gruppo rifiutano l’offerta e rimessisi in
viaggio giungono, seguiti da Teofilatto, in una città appestata. Convinti di
aver contratto tutti il morbo, si uniscono alla processione del santo Zenone,
in direzione della Terra Santa. Traversando un ponte però il santo cade in un
fiume ed il gruppo decide di ripartire per l’obiettivo principale. Durante il
tragitto Brancaleone salva la vergine Matelda dalle violenze di alcuni briganti
ed il morente responsabile di quella domanda al gruppo di scortarla dal
promesso sposo in cambio di cento monete d’oro. A resistere alle focose
provocazioni della vergine è solo Brancaleone però, mentre Teofilatto si lascia
cogliere da quella. Giunti al palazzo del promesso sposo, e scoperta la perdita
della verginità di Matelda, il gruppo fugge ma Brancaleone è condannato a
morte. È proprio Teofilatto a tornare la notte ed a trarlo in salvo. Chiuso
ancora nella gabbia, Brancaleone si fa aiutare da un fabbro che decide di
aggiungersi al gruppo. Prima di prendere possesso delle terre assegnategli,
decidono di passare dalla famiglia di Teofilatto la quale però, minacciandoli,
scaccia l’armata ed il figlio via dal castello. Giunti finalmente nel feudo di
Aurocastro, l’armata scopre di doverlo difendere dall’attacco dei Saraceni i
quali invece conquistano il castello e li condannano a morte. A salvarli è
l’arrivo di un cavaliere con le proprie schiere, il quale però riconosce il
gruppo che gli ha usurpato il titolo. Condannati nuovamente a morte anche da
questo, l’armata Brancaleone finalmente è fatta salva dall’intervento del santo
Zenone il quale li convince a ripartire per la crociata alla quale si mette in
testa proprio Brancaleone.
Considerato dallo stesso regista
il suo film preferito, L’armata Brancaleone rappresenta difatti uno dei
momenti più alti del cinema di Mario Monicelli. Antieroico e godereccio,
surreale e onirico, il film non tralascia lo sfondo scolastico (violenze
all’inizio della pellicola) sul quale fare attecchire però una delirante e
radiosa rivisitazione in chiave comica di uno dei momenti più bui della storia
dell’umanità. Partendo con un inizio truculento, davvero forte ed efficace a
rappresentare l’orrore del Medioevo, la sua assoluta mancanza di rispetto per
il corpo (amputazioni, stupri e violenze) e che poco lega con la commedia,
Monicelli riesce a giungervici attraverso differenti incontri e gags che
guardano alla satira (i riferimenti all’Italia fascista e campagnola guidata da
un condottiero folle non sono solo nel motto cameratesco che muove l’armata) e
che non disdegnano riflessioni più genuine (senso del gruppo di fronte alla
morte). Nel sottotesto: il passaggio dall’Alto al Basso Medioevo, e una sorta
di rivisitazione, in costume, della storia del paese nel primo cinquantennio;
la presenza della morte, tra biasimi che gravano sull’esistenza (gabbie,
torture, peste, condanne a morte) e l’assoluta mancanza d’amore; rivisitazione
del genere eroico (e romanzesco in questo caso). L’intera pellicola, pregna dei
suoi significati, regge sulle spalle di Vittorio Gassman nei panni di un Don
Chisciotte tutto italiano, con la stessa carica folle e l’orgoglio di chi
difende una casta dalla quale è ormai escluso e della quale non v’è traccia.
Non da meno le interpretazioni di Gian Maria Volontè (da rivedere l’incontro
con Brancaleone, un vero diletto) ed Enrico Maria Salerno nel ruolo di un
messia destinato a sconfiggersi da solo. Di sicuro effetto la scelta dei
dialoghi (soggetto e sceneggiatura del regista con Age e Furio Scarpelli)
composti da un linguaggio misto di latino ed accenti volgari (questa
caratteristica soprattutto diventerà l’emblema delle commedie sexy volgari
degli anni ‘70). La pellicola ottenne tre Nastri d’argento: per i costumi a
Piero Ghepardi (che guardano a La sfida del samurai (1961) di Akira
Kurosawa per il personaggio di Brancaleone [i]),
per la fotografia a Carlo Di Palma e per le musiche a Carlo Rustichelli. I
colorati titoli animati, di testa e coda, sono di Gianini e Luzzati.
Bucci Mario
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