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L’armata Brancaleone
Anno: 1966
Regista: Mario Monicelli;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia; Francia;
Data inserimento nel database: 12-11-2004


La grande guerra

L’armata Brancaleone. Mario Monicelli. 1966. ITALIA-FRANCIA.

Attori: Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella, Barbara Steele, Carlo Pisacane

Durata: 120’

 

 

Faleri. Italia. Alto Medioevo. Un villaggio è preso d’assalto da alcuni briganti e coloro che sopravvivono, dei poveracci, derubano un cavaliere di passaggio di tutti i suoi averi. Fra il bottino trovano una carta che nominava l’uomo proprietario del ricco feudo di Aurocastro, con tanto di castello, nelle Puglie. Il gruppetto di poveracci cerca allora di rivendere il documento al vecchio rigattiere ebreo Abacuc il quale propone invece di passarlo ad un cavaliere il quale, giunto nel sud del paese, sarà disposto a dividere tutto con loro. La scelta cade sul trasandato e millantatore cavaliere Brancaleone da Norcia il quale, dopo essere stato umiliato in un duello, parte con tutto il gruppo verso le Puglie. Sulla strada l’armata incontra Teofilatto, cavaliere borioso con l’erre moscia che sfida Brancaleone a duello per cedere il passo. Entrambi mostrano di non saperci fare e di non voler rischiare più di tanto così, alla fine, finisce in tregua. Teofilatto offre loro di andare dalla sua famiglia fingendosi ostaggio per domandare un riscatto in oro. Brancaleone ed il gruppo rifiutano l’offerta e rimessisi in viaggio giungono, seguiti da Teofilatto, in una città appestata. Convinti di aver contratto tutti il morbo, si uniscono alla processione del santo Zenone, in direzione della Terra Santa. Traversando un ponte però il santo cade in un fiume ed il gruppo decide di ripartire per l’obiettivo principale. Durante il tragitto Brancaleone salva la vergine Matelda dalle violenze di alcuni briganti ed il morente responsabile di quella domanda al gruppo di scortarla dal promesso sposo in cambio di cento monete d’oro. A resistere alle focose provocazioni della vergine è solo Brancaleone però, mentre Teofilatto si lascia cogliere da quella. Giunti al palazzo del promesso sposo, e scoperta la perdita della verginità di Matelda, il gruppo fugge ma Brancaleone è condannato a morte. È proprio Teofilatto a tornare la notte ed a trarlo in salvo. Chiuso ancora nella gabbia, Brancaleone si fa aiutare da un fabbro che decide di aggiungersi al gruppo. Prima di prendere possesso delle terre assegnategli, decidono di passare dalla famiglia di Teofilatto la quale però, minacciandoli, scaccia l’armata ed il figlio via dal castello. Giunti finalmente nel feudo di Aurocastro, l’armata scopre di doverlo difendere dall’attacco dei Saraceni i quali invece conquistano il castello e li condannano a morte. A salvarli è l’arrivo di un cavaliere con le proprie schiere, il quale però riconosce il gruppo che gli ha usurpato il titolo. Condannati nuovamente a morte anche da questo, l’armata Brancaleone finalmente è fatta salva dall’intervento del santo Zenone il quale li convince a ripartire per la crociata alla quale si mette in testa proprio Brancaleone.

Considerato dallo stesso regista il suo film preferito, L’armata Brancaleone rappresenta difatti uno dei momenti più alti del cinema di Mario Monicelli. Antieroico e godereccio, surreale e onirico, il film non tralascia lo sfondo scolastico (violenze all’inizio della pellicola) sul quale fare attecchire però una delirante e radiosa rivisitazione in chiave comica di uno dei momenti più bui della storia dell’umanità. Partendo con un inizio truculento, davvero forte ed efficace a rappresentare l’orrore del Medioevo, la sua assoluta mancanza di rispetto per il corpo (amputazioni, stupri e violenze) e che poco lega con la commedia, Monicelli riesce a giungervici attraverso differenti incontri e gags che guardano alla satira (i riferimenti all’Italia fascista e campagnola guidata da un condottiero folle non sono solo nel motto cameratesco che muove l’armata) e che non disdegnano riflessioni più genuine (senso del gruppo di fronte alla morte). Nel sottotesto: il passaggio dall’Alto al Basso Medioevo, e una sorta di rivisitazione, in costume, della storia del paese nel primo cinquantennio; la presenza della morte, tra biasimi che gravano sull’esistenza (gabbie, torture, peste, condanne a morte) e l’assoluta mancanza d’amore; rivisitazione del genere eroico (e romanzesco in questo caso). L’intera pellicola, pregna dei suoi significati, regge sulle spalle di Vittorio Gassman nei panni di un Don Chisciotte tutto italiano, con la stessa carica folle e l’orgoglio di chi difende una casta dalla quale è ormai escluso e della quale non v’è traccia. Non da meno le interpretazioni di Gian Maria Volontè (da rivedere l’incontro con Brancaleone, un vero diletto) ed Enrico Maria Salerno nel ruolo di un messia destinato a sconfiggersi da solo. Di sicuro effetto la scelta dei dialoghi (soggetto e sceneggiatura del regista con Age e Furio Scarpelli) composti da un linguaggio misto di latino ed accenti volgari (questa caratteristica soprattutto diventerà l’emblema delle commedie sexy volgari degli anni ‘70). La pellicola ottenne tre Nastri d’argento: per i costumi a Piero Ghepardi (che guardano a La sfida del samurai (1961) di Akira Kurosawa per il personaggio di Brancaleone [i]), per la fotografia a Carlo Di Palma e per le musiche a Carlo Rustichelli. I colorati titoli animati, di testa e coda, sono di Gianini e Luzzati.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]

 



[i] Paolo Mereghetti. Dizionario dei film 2000. Baldini & Castoldi