Sciopero.
Sergej M. Ejzenštejn. 1925. URSS.
Attori: Aleksander Antonov,
Michail Gomorov, Maksim Strauch, Grigorij Aleksandrov, I. Kljuvkin, I. Ivanov
Durata: 97’
Titolo originale: Stacka
Russia. 1912. Parte Prima –
Nella fabbrica tutto è tranquillo. L’organizzazione è gestita dai dirigenti
capitalisti e dai militari al servizio dello Zar. Questi ultimi incaricano
diversi agenti di sorveglianza esterna di controllare la fabbrica e gli operai.
Ci sono preparativi e riunioni clandestine che terminano con un massiccio
volantinaggio. Parte seconda – Il motivo dello sciopero. L’operaio Jakov
è ingiustamente accusato di aver rubato un micrometro dalla fabbrica del valore
di 25 rubli, pari cioè a tre settimane di lavoro per lo Zar. Umiliato,
s’impicca nella catena di montaggio lasciando una lettera ai compagni. Gli
operai aggrediscono il capomastro e cessano di lavorare. C’è agitazione e si
lotta per suonare la sirena d’interruzione dei lavori. Tutti gli operai della
fabbrica sono in movimento ed assaltano la fonderia a sassate e poi conquistano
gli uffici della fabbrica. Prendono il responsabile dell’amministrazione ed il
capomastro e, portandoli all’esterno, li rovesciano in un acquitrino fangoso. Parte
terza – La fabbrica è ferma. I primi giorni sono sereni e solari e la vita
famigliare si rallegra della mancanza di lavoro. All’imprenditore capitalista
invece arrivano diverse commesse che non può realizzare poiché la fabbrica è in
un cattivo stato d’abbandono. La massa degli operai s’incontra in aperta
campagna per elaborare le rivendicazioni. Gli azionisti le leggono ma non
accettano anzi, brindano alla prima ondata di repressione fatta dalla polizia a
cavallo che interrompe il comizio nel bosco. Gli operai si organizzano in sit
in per evitare di essere dispersi. Parte quarta. Lo sciopero continua.
Passa il tempo di non produzione portando fame, misera e crisi famigliari,
mentre nel frattempo gli agenti di sorveglianza danno la caccia ai rossi. Due
operai si accorgono di essere pedinati e riescono a catturare e picchiare una
spia. Un altro agente però riesce a fotografare un operaio che strappa una
risposta dell’amministrazione e consegna la fotografia alla polizia. L’uomo è
pestato in strada davanti alla macchina dell’imprenditore in compagnia di una
prostituta. Poco dopo, in questura, è massacrato dai poliziotti e convinto, il
giorno seguente, a fare i nomi dei capi del movimento operai, lasciandosi
comprare. Parte quinta – Una provocazione disfattista. Un agente si
rivolge al re dei delinquenti dal quale assolda un gruppo di provocatori che
assalta una distilleria di vodka dandole fuoco. La polizia tarda ad intervenire
fino a che una compagna riesce a chiamare i vigili del fuoco. Questi arrivano
tardi per salvare i provocatori, morti ubriachi tra le fiamme, ma in tempo per
disperdere la folla di manifestanti con l’uso degli idranti. Parte sesta –
La soppressione. Infine anche le truppe militari intervengono distruggendo
il quartiere degli operai e massacrando la popolazione.
Esordio al cinema del grande
cineasta russo Sergej M. Ejzenštejn (prodotto dalla Prima Fabbrica del cinema
ma sceneggiato dal regista stesso) che in un primo momento della sua carriera
sceglie la strada del cosiddetto montaggio delle attrazioni, un
montaggio libero dall’azione propriamente detta, svincolata dal gesto, ma che
ne segue ugualmente la logica narrativa, esercizio teorico sperimentato proprio
in questa pellicola e che decise di abbandonare solo dopo le influenze di un
altro regista, Dziga Vertov [1],
legato più allo stile pittoresco e chiassoso dell’avanguardia. A proposito del montaggio
delle attrazioni, che in questa pellicola assume anche il carattere di montaggio
come conflitto [2], si possono
ricordare le figure degli agenti di sorveglianza, mostrati nel loro
corrispettivo animale o sociale, il crescendo della produzione di massa e i
dettagli del suicidio, i tre operai con le braccia conserte e la ruota che
rallenta il giro fino a bloccare la produzione, il massacro della folla con lo
sgozzamento del bue, il brindisi degli azionisti e la carica della polizia, e
soprattutto il contratto con il quale è comperato l’operaio picchiato: il
massimo del lusso, lo spreco delle bevande ed i due fanciulli che ballano in
stile Broadway sul tavolo. Spinto, come lui stesso riconobbe anni dopo, da una malattia
infantile dell’estremismo [3]
(dedicata o mossa dalle teorie rivoluzionarie di Lenin con accenti ancora
didascalici), Sciopero rimane ugualmente una pellicola fondamentale
nella storia del cinema proprio grazie alle invenzioni del giovane regista: in
tutta la parte in cui è assediato il quartiere e le fucine, è sorprendente la
sua capacità di controllare il campo ed i piani, riuscendo ad inquadrare tre
livelli differenti per volta, tutti carichi di comparse in lotta, fino al
lancio del bambino, il momento più drammatico della pellicola, il suo cranio
rotto in terra ed il sorriso beffardo di un militare che sta per ordinare il
massacro finale; oppure ancora le geniali fotografie che prendono vita o
l’immagine dell’uomo e la pozzanghera che scorrono al contrario o, infine, il
grandangolo rovesciato sul p.p. della spia (ottenuto cioè inquadrando una sfera
di vetro). I registri utilizzati nella pellicola sono principalmente due:
quello del documentario e quello della rielaborazione simbolica del reale
[4]
(ottenuta cioè attraverso l’uso del montaggio imperativo [5]).
Quello che rende ancora più importante questa pellicola però, è la capacità
mostrata da parte del regista (poi diventata caratteristica del suo cinema) di
spostare la centralità del singolo protagonista sulle masse, creando così
un’identità drammatica collettiva alla quale lo spettatore si sente legato. La
figura dell’imprenditore pancione con sigaro, doppio petto e cilindro è
diventato simbolo di rappresentazione del modello capitalista.
Bucci Mario
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