La
passione di Giovanna d’Arco. Carl Theodor Dreyer. 1928.
FRANCIA.
Attori: Renée Falconetti,
Eugène Silvain, André Berley, Maurice Schutz, Antonin Artaud, Michel Simon
Durata: 110’
Titolo originale: La passion de Jeanne d'Arc
Il dettaglio di un verbale
sfogliato introduce ad una storia realmente accaduta. La Francia sotto dominio
inglese. Rouen. 14 febbraio 1431. La giovane contadina lorense Jeanette,
ragazza francese di diciannove anni, è sotto giudizio di un tribunale della
Chiesa. L’accusa è di essere posseduta dal demonio poiché ella si veste con
abiti maschili e dice di aver assistito all’apparizione di San Michele. In
realtà ella è soprattutto una condottiera impegnata contro gli inglesi,
autorità che il tribunale rappresenta. Uno fra i giudici le crede, convinto che
sia una santa, ma è subito allontanato dalle guardie reali. Poiché la donna non
vuole firmare l’atto di abiura, la corte studia uno stratagemma: farle
pervenire una lettera falsa del re Carlo VII. Uno di loro si finge inviato da
questo e cerca di guadagnare la sua fiducia. Jean, in un secondo confronto
nella sua cella con alcuni rappresentanti del tribunale, accetta di recitare il
Pater e risponde alle domande fattegli seguendo quanto gli consiglia il
prelato che finge misericordia. Jean chiede a sua Eminenza di poter partecipare
alla messa ma le è rifiutato poiché ella non vuole abbandonare i suoi abiti
maschili. È lasciata sola in cella con tre militari che le appongono una corona
di paglia e l’offendono. È condotta nel luogo della tortura dove però
Jean non è ancora disposta a firmare e perde i sensi di fronte alla ruota
chiodata. E’ ricondotta febbricitante in cella. Prossima alla morte, ottiene
l’estrema unzione immediatamente interrotta però nel momento in cui la ragazza
si rifiuta di firmare l’abiura, accusando i preti d’essere loro i
rappresentanti del male. I giudici del tribunale ecclesiastico avvertono allora
il boia e conducono la donna all’esterno dove le danno l’ultima possibilità. Il
prelato misericordioso impugna allora la mano sconfitta di Jean ed appone la
firma sull’abiura. Jean non è più sconsacrata ed è condannata al carcere a
vita. I militari inglesi non sono d’accordo ed uccidono il primo dimostrante
che inneggia a Jean. In cella, dove le tagliano i capelli, lei fa richiamare i
giudici: ha mentito per salvarsi la vita ma in realtà lei è davvero convinta di
essere un’eletta del Signore. È la sua condanna a morte. Ricondotta nuovamente
all’esterno è arsa viva al rogo. La folla è convinta però che sia una santa e
tocca ai militari inglesi sopprimere la dimostrazione popolare.
Costretto a rifugiarsi in Francia
a causa della pessima condizione nella quale versava il settore cinematografico
in Danimarca, Carl Theodor Dreyer, finanziato da Gaumont, scrive con questo
film una delle pagine della storia del cinema muto (cui s’inserisce nella
corrente dell’espressionismo), ma non solo. La passione di Giovanna
d’Arco, come dicono le didascalie che introducono al fatto, è la storia di una
giovane donna credente messa a confronto con un consenso di teologi ottusi e
giuristi intransigenti. Il personaggio di una martire consegnata alla
storia, è interamente sostenuto dal primo piano dell’attrice Renée Falconetti,
il cui volto candido e quasi in estasi divina è solcato solo dalle linee del
pianto. È il chiaro del suo viso, infatti, illuminato dal bianco e nero di
Rudolph Maté, che parla contro i volti segnati dei giudici del tribunale o dei
militari, che reagisce ad offese ed umiliazioni e minacce di morte e scomunica,
perché Dreyer è convinto del suo rapporto con il divino, quella costante
visionarietà che illumina il suo sguardo. Ed è, infatti, da subito, con tutta
la prima fase del processo che il regista riesce ad intervenire sui personaggi
grazie ad una fotografia chiara ma soprattutto all’uso della m.d.p. che
mantiene i rapporti di posizione (inquadratura dal basso per i prelati, poiché
Jean è seduta) ed allo sviluppo della teoria del montaggio, in questa pellicola
sostenuto quasi completamente dagli sguardi degli attori e da un senso pratico
del ritmo. La scelta delle inquadrature strette sui volti fu necessaria anche
per motivi di ordine tecnico poiché sarebbe stato piuttosto difficile e costoso
fare un’intera ricostruzione delle scenografie necessarie per la messa in scena
di questo periodo storico. Sta di fatto che la tecnica di recitazione della
Falconetti e lo stile registico di Dreyer, basato essenzialmente sul primo e
primissimo piano, sono finalizzati a isolare l’attore dallo spazio e
assolutizzare l’espressione della sua interiorità [i]. La passione di Giovanna d’Arco è
soprattutto un film che fa larghissimo uso della simbologia: l’ombra della
grata della cella che è una croce sul pavimento, poi calpestata ed occupata dal
prelato che finge la misericordia; la fossa scavata e dalla quale sbuca un
teschio umano, l’annunciazione della morte che incombe su Jean; la mano di Sua
Eminenza che si ritira non appena ha detto che di lei la Chiesa ne avrà pietà…
Il cinema di Dreyer è anche un insieme di invenzioni narrative e visive: padronanza
assoluta dei carrelli; i dettagli sugli attrezzi di tortura e l’intensità, il
pathos della scena che cresce, aumenta, accelera al ritmo della ruota chiodata;
la panoramica a destra che segue il fanciullo e che svela il corpo della madre
uccisa tra la folla; la soggettiva del cannone che spara sul popolo in rivolta;
l’incisione del braccio di Jean e lo zampillo di sangue nella bacinella.
Assoluta tutta la sequenza del rogo nella quale il montaggio delle inquadrature
di lei, della folla, dei militari, dei prelati, del libero volo degli uccelli e
del bastone che tiene il crocifisso, è sostenuto da invenzioni visive sempre
spiazzanti come le inquadrature da sotto, nella folla, nella ressa, o quelle
dall’alto che mostrano l’uscita dei militari, l’armamento. Sono, infatti, gli elementi
fisici, purificati e scarnificati al massimo che il regista sceglie quali
propri simboli espressionisti, che gli permettono di giungere alla
rappresentazione dello spirito senza travalicare la realtà sensibile [ii].
La pellicola, da un punto di vista tematico, oltre ad esaltare il nazionalismo
spirituale post bellico della Francia, si basa soprattutto su una critica
massiccia al sistema clericale, concentrata nella frase di un prelato che
sostiene un’offesa all’istituzione come giustificazione alla condanna a morte
della ragazza “Dal momento che siete certa della vostra Salvezza, allora non
avete bisogno della Chiesa?”. La risposta della pulzella d’Orleans, che
sceglie la morte seguendo il proprio fanatismo religioso [iii],
appare come un vero e proprio inno al martirio, la liberazione nella morte
(sceneggiatura dello stesso regista con la collaborazione di Joseph Delteil).
Rimane comunque che una grande forza spirituale emana da questo film dalla
stilizzazione estrema, contenente tutte le teorie estetiche del regista:
l’interesse per il volto umano, l’antinaturalismo, le simbologie [iv].
Di questa pellicola furono girati 85 mila metri ma ne furono utilizzati in fase
di montaggio solo 2.200. Davvero travagliata è però la storia della pellicola:
persa la copia originale nell’incendio dei laboratori dell’UFA a Berlino nel
1928, ne fu rieditata una seconda con il materiale scartato dalla prima. Nel
1952 questa fu manomessa da G.M. Lo Luca che, per inserirvi il commento sonoro,
aumentò la velocità fino a 24 fotogrammi, anziché rispettare i 20 della
versione originale. Nel 1981 è stata infine trovata una copia del primo
originale in un ospedale psichiatrico norvegese [v].
Bucci Mario
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