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La passione di Giovanna d’Arco - La passion de Jeanne d'Arc
Anno: 1938
Regista: Carl Theodor Dreyer;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 01-04-2004


La grande guerra

La passione di Giovanna d’Arco. Carl Theodor Dreyer. 1928. FRANCIA.

Attori: Renée Falconetti, Eugène Silvain, André Berley, Maurice Schutz, Antonin Artaud, Michel Simon

Durata: 110’

Titolo originale: La passion de Jeanne d'Arc

 

 

Il dettaglio di un verbale sfogliato introduce ad una storia realmente accaduta. La Francia sotto dominio inglese. Rouen. 14 febbraio 1431. La giovane contadina lorense Jeanette, ragazza francese di diciannove anni, è sotto giudizio di un tribunale della Chiesa. L’accusa è di essere posseduta dal demonio poiché ella si veste con abiti maschili e dice di aver assistito all’apparizione di San Michele. In realtà ella è soprattutto una condottiera impegnata contro gli inglesi, autorità che il tribunale rappresenta. Uno fra i giudici le crede, convinto che sia una santa, ma è subito allontanato dalle guardie reali. Poiché la donna non vuole firmare l’atto di abiura, la corte studia uno stratagemma: farle pervenire una lettera falsa del re Carlo VII. Uno di loro si finge inviato da questo e cerca di guadagnare la sua fiducia. Jean, in un secondo confronto nella sua cella con alcuni rappresentanti del tribunale, accetta di recitare il Pater e risponde alle domande fattegli seguendo quanto gli consiglia il prelato che finge misericordia. Jean chiede a sua Eminenza di poter partecipare alla messa ma le è rifiutato poiché ella non vuole abbandonare i suoi abiti maschili. È lasciata sola in cella con tre militari che le appongono una corona di paglia e l’offendono. È condotta nel luogo della tortura dove però Jean non è ancora disposta a firmare e perde i sensi di fronte alla ruota chiodata. E’ ricondotta febbricitante in cella. Prossima alla morte, ottiene l’estrema unzione immediatamente interrotta però nel momento in cui la ragazza si rifiuta di firmare l’abiura, accusando i preti d’essere loro i rappresentanti del male. I giudici del tribunale ecclesiastico avvertono allora il boia e conducono la donna all’esterno dove le danno l’ultima possibilità. Il prelato misericordioso impugna allora la mano sconfitta di Jean ed appone la firma sull’abiura. Jean non è più sconsacrata ed è condannata al carcere a vita. I militari inglesi non sono d’accordo ed uccidono il primo dimostrante che inneggia a Jean. In cella, dove le tagliano i capelli, lei fa richiamare i giudici: ha mentito per salvarsi la vita ma in realtà lei è davvero convinta di essere un’eletta del Signore. È la sua condanna a morte. Ricondotta nuovamente all’esterno è arsa viva al rogo. La folla è convinta però che sia una santa e tocca ai militari inglesi sopprimere la dimostrazione popolare.

Costretto a rifugiarsi in Francia a causa della pessima condizione nella quale versava il settore cinematografico in Danimarca, Carl Theodor Dreyer, finanziato da Gaumont, scrive con questo film una delle pagine della storia del cinema muto (cui s’inserisce nella corrente dell’espressionismo), ma non solo. La passione di Giovanna d’Arco, come dicono le didascalie che introducono al fatto, è la storia di una giovane donna credente messa a confronto con un consenso di teologi ottusi e giuristi intransigenti. Il personaggio di una martire consegnata alla storia, è interamente sostenuto dal primo piano dell’attrice Renée Falconetti, il cui volto candido e quasi in estasi divina è solcato solo dalle linee del pianto. È il chiaro del suo viso, infatti, illuminato dal bianco e nero di Rudolph Maté, che parla contro i volti segnati dei giudici del tribunale o dei militari, che reagisce ad offese ed umiliazioni e minacce di morte e scomunica, perché Dreyer è convinto del suo rapporto con il divino, quella costante visionarietà che illumina il suo sguardo. Ed è, infatti, da subito, con tutta la prima fase del processo che il regista riesce ad intervenire sui personaggi grazie ad una fotografia chiara ma soprattutto all’uso della m.d.p. che mantiene i rapporti di posizione (inquadratura dal basso per i prelati, poiché Jean è seduta) ed allo sviluppo della teoria del montaggio, in questa pellicola sostenuto quasi completamente dagli sguardi degli attori e da un senso pratico del ritmo. La scelta delle inquadrature strette sui volti fu necessaria anche per motivi di ordine tecnico poiché sarebbe stato piuttosto difficile e costoso fare un’intera ricostruzione delle scenografie necessarie per la messa in scena di questo periodo storico. Sta di fatto che la tecnica di recitazione della Falconetti e lo stile registico di Dreyer, basato essenzialmente sul primo e primissimo piano, sono finalizzati a isolare l’attore dallo spazio e assolutizzare l’espressione della sua interiorità [i].  La passione di Giovanna d’Arco è soprattutto un film che fa larghissimo uso della simbologia: l’ombra della grata della cella che è una croce sul pavimento, poi calpestata ed occupata dal prelato che finge la misericordia; la fossa scavata e dalla quale sbuca un teschio umano, l’annunciazione della morte che incombe su Jean; la mano di Sua Eminenza che si ritira non appena ha detto che di lei la Chiesa ne avrà pietà… Il cinema di Dreyer è anche un insieme di invenzioni narrative e visive: padronanza assoluta dei carrelli; i dettagli sugli attrezzi di tortura e l’intensità, il pathos della scena che cresce, aumenta, accelera al ritmo della ruota chiodata; la panoramica a destra che segue il fanciullo e che svela il corpo della madre uccisa tra la folla; la soggettiva del cannone che spara sul popolo in rivolta; l’incisione del braccio di Jean e lo zampillo di sangue nella bacinella. Assoluta tutta la sequenza del rogo nella quale il montaggio delle inquadrature di lei, della folla, dei militari, dei prelati, del libero volo degli uccelli e del bastone che tiene il crocifisso, è sostenuto da invenzioni visive sempre spiazzanti come le inquadrature da sotto, nella folla, nella ressa, o quelle dall’alto che mostrano l’uscita dei militari, l’armamento. Sono, infatti, gli elementi fisici, purificati e scarnificati al massimo che il regista sceglie quali propri simboli espressionisti, che gli permettono di giungere alla rappresentazione dello spirito senza travalicare la realtà sensibile [ii]. La pellicola, da un punto di vista tematico, oltre ad esaltare il nazionalismo spirituale post bellico della Francia, si basa soprattutto su una critica massiccia al sistema clericale, concentrata nella frase di un prelato che sostiene un’offesa all’istituzione come giustificazione alla condanna a morte della ragazza “Dal momento che siete certa della vostra Salvezza, allora non avete bisogno della Chiesa?”. La risposta della pulzella d’Orleans, che sceglie la morte seguendo il proprio fanatismo religioso [iii], appare come un vero e proprio inno al martirio, la liberazione nella morte (sceneggiatura dello stesso regista con la collaborazione di Joseph Delteil). Rimane comunque che una grande forza spirituale emana da questo film dalla stilizzazione estrema, contenente tutte le teorie estetiche del regista: l’interesse per il volto umano, l’antinaturalismo, le simbologie [iv]. Di questa pellicola furono girati 85 mila metri ma ne furono utilizzati in fase di montaggio solo 2.200. Davvero travagliata è però la storia della pellicola: persa la copia originale nell’incendio dei laboratori dell’UFA a Berlino nel 1928, ne fu rieditata una seconda con il materiale scartato dalla prima. Nel 1952 questa fu manomessa da G.M. Lo Luca che, per inserirvi il commento sonoro, aumentò la velocità fino a 24 fotogrammi, anziché rispettare i 20 della versione originale. Nel 1981 è stata infine trovata una copia del primo originale in un ospedale psichiatrico norvegese [v].

 

 

Bucci Mario

[email protected]



[i] Antonio Costa. Saper vedere il cinema. Bompiani

[ii] Alfonzo Canziani. Cinema di tutto il mondo. Mondadori.

[iii] Enrico Ghezzi. Paura e desiderio. Bompiani

[iv] Massimo Moscati. Breve storia del cinema. Bompiani

[v] il Mereghetti. Dizionario dei film 2000. Baldini & Castoldi.