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Le iene - Cani da rapina - Reservoir dogs
Anno: 1992
Regista: Quentin Tarantino;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Le iene – Cani da rapina. Quentin Tarantino. 1992. USA.

Attori: Harvey Keitel, Tim Roth, Chris Penn, Steve Buscemi, Lawrence Tierney, Michael Madsen, Quentin Tarantino, Eddie Bunker.

Durata: 99’

Titolo originale: Reservoir dogs

 

 

Los Angeles. Un gruppo di uomini in giacca e cravatta è a tavola a chiacchierar di nulla: uno cerca di trovare il significato di un brano di Madonna, un altro cerca di ricordarsi un nome….Titoli di testa. Due degli uomini presenti a quella tavola sono in macchina che fuggono. Quello sdraiato sui sedili di dietro si lamenta e contorce per un buco allo stomaco, è Mr. Orange. Mr. White guida la macchina all’appuntamento in un casolare abbandonato. Il primo a sopraggiungere è Mr. Pink che discute con Mr. White sull’eventualità di una spia nel gruppo. Sono tutti dei rapinatori ed il colpo alla gioielleria è andato male. Sopraggiunge Mr. Blonde, un altro che è riuscito a fuggire all’imboscata, ed ha un poliziotto in ostaggio. Legatolo ad una sedia, il gruppo di rapinatori cerca di farsi dire dal poliziotto chi è l’infiltrato. Mentre lo stanno malmenando sopraggiunge anche Eddie il Bello, figlio di Joe, l’organizzatore della rapina. Il gruppo torna a discutere dell’eventualità di una spia e, mentre aspettano l’arrivo del boss, si dividono per spostare le macchine dell’ingresso, lasciando Mr. Blonde da solo con il poliziotto e Mr. Orange svenuto in terra. Il sadico rapinatore pensa bene di divertirsi con l’ostaggio e gli recide un orecchio e mentre lo cosparge di benzina per dargli fuoco, è freddato da Mr. Orange, semi morente in terra. Un lungo flashback racconta tutta la fese che ha preceduto la sua infiltrazione nel gruppo di rapinatori. La spia è lui, è Mr. Orange. Quando i compagni tornano e vedono il cadavere di Mr. Blonde, Eddie perde la pazienza e l’ingresso di Joe nel casolare chiarisce ogni sospetto. Mr. White è ancora convinto che la spia non sia Mr. Orange e basterà una parola sbagliata che tutti si ritrovano a puntarsi la pistola l’uno contro l’altro. Un proiettile tira l’altro, non ha importanza chi l’abbia fatto partire per primo: Mr. Pink, salvo, tenta di darsi alla fuga ma è freddato fuori dal casolare. Mr. White trascina il suo corpo fino a quello ancora agonizzante di Mr. Orange che gli confessa la verità. L’arrivo della polizia conclude la tragedia.

Primo lungometraggio di Quentin Tarantino, ex noleggiatore di videocassette e con esperienze di sceneggiatura, che guarda al passato ed ai film di genere con lo sguardo di chi di film ne ha divorati a migliaia ed è ancora affamato. Forse in questo il principale vantaggio di Tarantino sugli altri esordienti: la capacità di portare al cinema un primo lavoro che sa di aver già visto. Prendendo spunto, infatti, da generi spesso considerati di serie B, soprattutto i gangster movie di veloce consumo, il regista americano completa il lavoro di ricostruzione narrativa avvantaggiandosi della collaborazione di Edward Bunker, scrittore di rapine e vero galeotto, nella scrittura dei dialoghi, intaccando l’eleganza del teatro elisabettiano, dove tutti i protagonisti muoiono, con elementi di post-modernità linguistica (discorsi vuoti e soffocati da violenza dialettica). Di Edward Bunker basta leggere un romanzo per capire dove ha inciso la sua consulenza. Un lavoro di teoria che si aggrappa alle viscerali interpretazioni del cast, vestito in abito scuro, e si completa nella rappresentazione di sei delinquenti buoni a nulla. Farina rimpastata che sa mantenere una parte di gusto e sapore: il carrello circolare sul gruppo a pranzo mentre discutono di Madonna o dell’importanza delle mance nel lavoro delle cameriere ha lo stesso significato che ebbe il carrello circolare su Al Pacino per introdurre Scarface (1983) di De Palma, i protagonisti si presentano attraverso la propria voce; l’ingresso di Mr. Blonde, con un carrello all’indietro su Mr. Pink e Mr. White che vogliono spararsi, e Mr. Blonde appoggiato ad una trave “Ragazzi non fate giochi pesanti, poi qualcuno si fa male e si mette a piangere” con un milk shake in mano, il ridicolo di una rapina della quale non si vuole far vedere ancora nulla, ma durante la quale Mr. Blonde è riuscito a procurarsi il dolce, un milk shake o un poliziotto. La costruzione della scena della tortura, ripete ancora una volta lo stesso cliché: movimento di camera circolare sul primo piano del poliziotto spaventato, aggressione e sguardo della macchina da presa che è distolto dalla scena con uno spostamento verso sinistra e ritorno in camera di Mr. Blonde con un orecchio in mano; battuta sull’orecchio “Ci senti?”: Tarantino che si diverte, alternando violenza e comicità con diversi fendenti del suo cinema sfruttando il contesto narrativo della rapina. Una rottura del continuum, un momento che è respiro e tensione, quando Mr. Blu si allontana a prendere la benzina in macchina, e la macchina da presa lo segue come una parentesi nella scena della tortura, scegliendo di seguire il personaggio Mr. Blonde. Un altro carrello circolare, su Mr. Pink che spara a Mr. Blonde, l’obiettivo che coglie per un istante i proiettili di Tim Roth, e sostituisce Mr. Blonde con lo spettatore: Tarantino uccide lo spettatore sadico così come Mr. Orange uccide Mr. Blonde, prima che possa godere dell’ultimo gesto di follia, dar fuoco al poliziotto. Nel connubio tra teoria e pratica, importante il ruolo dell’operatore alla macchina da presa, l’esordiente al lungometraggio Andrzej Sekula, appena arrivato dalla Polonia. Meno di quanto egli stesso affermi, il regista ha colto solo il montaggio di Rapina a mano armata (1955) di Kubrick, alla ricostruzione di una rapina attraverso diverse soggettive, Tarantino sottrae proprio l’elemento principale che era in Kubrick, la rapina stessa, della quale manca anche solo un fotogramma, e della quale c’è tutto il prima ed il dopo. L’immagine di Keitel e Buscemi prima e il terzetto finale poi, sono debiti dichiarati invece al cinema d’azione del regista di Hong Kong John Woo, a A better tomorrow (1986) e The Killer (1989) in particolare, e naturalmente a Il mucchio selvaggio (1969) di Sam Peckinpah, al quale sembra sottrarre l’inquadratura del mucchio ripreso mentre cammina. L’uso delle tendine di presentazioni d’alcuni personaggi ne giustifica una recitazione così viscerale, quasi fumettistica, al limite della parodia al genere (un elevatissimo uso di parolacce che in America è associato allo slang dei ghetti neri e che Tarantino inquadra nel codice dei film exploitation). La colonna sonora, infine, alla Walter Hill, dove alle labbra della dj di colore de I guerrieri della notte (1979), si sostituisce la passione dei protagonisti per l’etere e la voce maschile del dj K-Billy.

L’uso di prolissi dialoghi sul nulla, infarcisce una storia semplice di fronzoli che non hanno però meno significato di dettagli che sarebbero stati più pertinenti: Tarantino sceglie appositamente di riempire i protagonisti di nulla in modo da ottenere che sia amplificato solo il puro paradigma gangster dei loro profili. Nel dialogo tra Buscemi e Keitel nel casolare, sembra di assistere ad un’interpretazione personale del regista sulle vicende del cinema poliziesco degli anni settanta, dove al semplice criminale si è sostituito il Rambo che spara a raffica (la follia di Mr. Blonde nella gioielleria) un lavoro che nessuno dei due ritiene da professionisti. L’elemento più importante però, a mio avviso, per la chiave di lettura della pellicola, è la digressione che permette alla trama di svelare l’ingresso di Tim Roth come spia. Il tempo narrativo di partenza è quello di Mr. Orange nel casolare, semi morente che ha appena ucciso Mr. Blonde. Dilatazione con movimento all’indietro del tempo, un flashback su lui ed un collega poliziotto di colore che gli racconta di come inventarsi una balla tanto per avere qualcosa da dire nell’ambiente. Tempo narrativo che ritorna a prosegue in avanti, accelerando, da Tim Roth che cerca d’imparare il testo a memoria da solo nella sua stanza a quando lo racconta perfettamente ai compari della rapina, seduti in un bar. In questo punto esatto, Tarantino svela il trucco del suo cinema e dà vita all’immagine del racconto falso, quello che Mr. Orange immagina di aver vissuto. L’immagine è un bagno pubblico con sbirri e cani, Tim Roth è voce fuori campo, che è stata voce dello sbirro collega, che è voce di Tarantino, l’attenzione passa per un momento ad uno di quei poliziotti immaginari che sta raccontando un’altra storia, con molta probabilità la stessa cretinata che sta raccontando Tim Roth. Tarantino è in quel bagno, presente quanto i suoi personaggi, con quella fantasia narrativa che lo spinto fino a quel buco temporale. Questo lungo viaggio attraverso le maglie della narrazione, è il vero punto di forza di questo lavoro. La firma del regista è in questo salto di tempi e spazi, il cuore pulsante di un lavoro che altrimenti non sarebbe stato che solo un bel mosaico fatto di tessere impolverate.

Rititolato in Italia con Cani da rapina, dopo il successo veneziano di Pulp Fiction (1994) e grazie al quale si parlerà di talento. Vietato ai minori di diciotto anni. Trasmesso alla TV italiana con tagli per 29 minuti. (Morandini 2003 – Dizionario dei film). Harvey Keitel è anche coproduttore del film, mentre il regista di western crepuscolari Monte Hellman è uno dei produttori esecutivi.

 

 

Bucci Mario

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