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Mephisto
Anno: 1981
Regista: Istvan Szabò;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Ungheria; RFT;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Mephisto. Istvan Szabò. 1981. UNGERIA-RFT.

Attori: Klaus Maria Brandauer, Ildikó Bánsági, Krystyna Janda, Karyn Boyd

Durata: 138

 

Germania. L’attore teatrale Hendrik Hofgen è inquieto. Partecipare ancora alla scena provinciale di Amburgo sminuisce le sue grandi qualità. Si sposa con la bionda ed aristocratica Barbara, spesso di opinioni diverse dalle sue, ed è amante della ballerina Juliette Martens, una ragazza di colore. Ad Amburgo si fa conoscere oltre che per il suo talento e la sua proverbiale professionalità (“Ci vogliono i professionisti per fare il teatro rivoluzionario così come per fare la rivoluzione!”), anche per le sue sperimentazioni avanguardistiche di matrice francese o bolscevica. I suoi orientamenti comunisti lo spingono, infatti, ad allontanare un attore che ha aderito al nazionalsocialismo e per il quale Hendrik sembra non avere alcuna simpatia. Un giorno è invitato a Berlino a partecipare ad uno spettacolo e per lui si aprono le porte del riconoscimento alla sua bravura. Nella capitale però, dove è già tangibile l’aria nazionalsocialista, lo convincono ad abbandonare i suoi punti di riferimento per cercarne altri nella tradizione tedesca e mettere in piedi il vero teatro di stato (sangue e terra). Dopo aver indossato i panni di tutti i più importanti personaggi del teatro, è con il ruolo di Mephisto in Faust che arriva la sua definitiva consacrazione. Il clima della capitale continua però a farsi più pesante ed alcuni attori decidono di partire per gli Stati Uniti prima che sia troppo tardi. Egli nel frattempo fa arrivare a Berlino anche la sua amante di colore. Il giorno che i nazionalsocialisti vincono le elezioni (“E così un imbianchino austriaco è diventato cancelliere…”) sua moglie, che da sempre si era mostrata distaccata dalle vicende politiche del paese, decide di prendere una posizione precisa ed abbandona la Germania per rifugiarsi in Francia. Anche i suoi vecchi compagni cercano di convincerlo a prendere una decisione in modo che il teatro possa aiutare gli indecisi a resistere, ma egli si rifiuta. A Budapest per una rappresentazione, gli è offerta la possibilità di non fare ritorno in patria ma, convinto da una lettera che parla di mettere da parte il suo vecchio ruolo rivoluzionario, fa ritorno nella capitale liberando il suo Mephisto di tutte le possibili interpretazioni comuniste. È la svolta della sua carriera, che lo condurrà a diventare il maggiore rappresentante dell’arte nazionale, spinto dalla personale volontà di successo e dalla voglia di un generale che vede in lui il possibile scopritore di simboli nazionalsocialisti. Il suo teatro diventa espressione della propaganda nazionale, della quale egli si serve per raggiungere e consolidare il proprio successo e del quale la nazione germanica sfrutta tutte le sue capacità trasformiste. Ben presto Mephisto subentrerà all’attore e che a sua volta si trasformerà in delatore (contro l’attore nazionalsocialista che ha deciso di abbandonare il partito) ottuso (continuerà a non prendere posizione nel nome del suo ruolo di attore, esterno alle vicende politiche del paese) ed ambiguo (riconoscendo che è costretto a recitare anche nella vita).

Szabò adatta al grande schermo il romanzo di Klaus Mann, ispirato a un personaggio realmente esistito, l’attore e regista Gustaf Gründgens (1899-1963), cognato dell'autore.  Critica alla vita del teatro ed alle sue implicazioni con la realtà ed il potere (nel finale di carriera è proprio l’Amleto uno degli ultimi spettacoli che rappresenta); ambiguità della maschera (i due volti di Mephisto e Hendrik) e ricostruzione storica sono i punti di forza del lavoro del regista ungherese, ma è l’interpretazione di Klaus Maria Brandauer, sontuosa ed ineccepibile, a venir fuori come il diavolo dall’inferno: il suo Hendrik è proprio come lo vede Juliette, isterico e con occhi imbroglioni e glaciali. Chiavi di lettura al servizio del potere politico (le diverse interpretazioni dei soggetti teatrali) sfruttate dallo stesso regista che alla fine sostituisce Mephisto con il Faust, confondendo lo stesso Hendrik (“Essere o non essere…”). L’uso dei primi piani (le parole della lettera che lo convincono a tornare in patria hanno il volto di una bionda e giovane ragazza ariana) è una costante delle inquadrature (come non farlo con questo Brandauer), i monologhi di Hendrik fanno invece parte della scuola del teatro. Finale metafisico, con Hendrik che in un anfiteatro vuoto, illuminato da luci di scena che gli disturbano la vista, si domanda “Cosa vogliono da me? Io sono solo un attore…”. Camaleontico, il film vinse l’Oscar per il miglior film straniero ed a Cannes per la migliore sceneggiatura (del regista e di Peter Dobai), con l’unico difetto di essere completamente esplicito. 

 

 

Bucci Mario

        [email protected]