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Gangs of New York
Anno: 2002
Regista: Martin Scorsese;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Gangs of New York. Martin Scorsese. 2002. USA.

Attori: Daniel Day-Lewis, Leonardo Di Caprio, Cameron Diaz, Liam Neeson, J.C. Reilly.

Durata: 170’

 

 

New York. 1846. La fazione dei Conigli morti si prepara a rispondere alla sfida lanciata dai Nativi per il controllo di Five points (“Cinque punti che sono cinque dita e che una volta chiuse si trasformano in un pugno”), la zona della città che unisce il porto, Wall street e Broadway. La sanguinosa battaglia, senza armi da fuoco ma affrontata con tutto ciò che può uccidere un nemico, finisce in un bagno di sangue in cui i Nativi, protestanti, vincono sui papisti d’origine irlandese. Padre Vallon, massacrato davanti agli occhi del figlio, cade con l’onore del combattente, Bill il Macellaio, diviene il signore delle strade di N.Y. Sedici anni dopo, uscito dal riformatorio, il figlio di padre Vallon torna a Five points con l’obiettivo di vendicarsi di Bill il Macellaio. Da due anni il presidente Lincoln ha abolito la servitù, gli Stati del sud hanno chiesto la secessione, la guerra impazza in tutto il paese e chiama alle armi volontari ed obbliga a partire chiunque non sia in grado di pagare trecento dollari. Five points nel frattempo è diventato l’inferno: immigrati, clandestini, borseggiatori, battone e degrado sono tutti stipati e nascosti al resto della città e del paese. Amsterdam, questo il nome che viene assegnato al figlio di Padre Vallon, subito cerca di darsi da fare per ingraziarsi le simpatie di Bill il Macellaio che, dopo diversi gesti di fiducia, decide di assumerlo come suo protetto. Nel frattempo Amsterdam s’innamora di Jenny, un’altra protetta di Bill, e continua a meditare vendetta. Sfuggito ad un primo tentativo, il Macellaio decide di risparmiargli la vita in memoria della lealtà e dell’onore di suo padre, ed Amsterdam così può riorganizzare il conflitto, chiamando a sé tutti gli irlandesi del paese, in continuo flusso con le navi degli immigrati. Uccidendo lo sceriffo (irlandese) eletto dalla città, il Macellaio non può non accettare la sfida dei risorti Conigli morti per il controllo di Five points, ma all’alba, quando le due fazioni sono pronte a massacrarsi, una di fronte all’altra, nel resto della città scoppia la rivolta contro le istituzioni che obbligano i poveri e gli immigrati a partire per la guerra e ne fanno le spese oltre che gli uffici anche gli uomini di colore, considerati la causa della guerra di secessione. In un clima di caos sempre crescente, i due schieramenti non riescono a combattersi perché la città è sotto l’assedio delle truppe del settimo reggimento. Nella bolgia finale, Amsterdam riuscirà ugualmente a consumare la sua vendetta. Sulle lapidi di tutti i morti, cresce la New York delle Torri Gemelle.

Dopo quasi cinque anni di lavorazione (il film è stato girato negli studi di Cinecittà) il nuovo lavoro di Scorsese è un adattamento dell’omonimo romanzo di Herbert Asbury. L’origine della città simbolo di un paese che ha segnato tutto il secolo appena concluso, è un bagno di sangue ed odio in cui alla confusione del tutto si aggiunge l’incapacità della collaborazione. Un miscuglio di razze e di padroni si fronteggia per strada, combatte le elezioni, disapprova ogni forma d’autorità alla ricerca di una propria identità che solo attraverso la forza e la morte può manifestarsi. Gangs of New York è una maestosa storia di coltelli che affondano la carne (i corpi dei protagonisti portano i segni di questa vita), di tradimenti (i Conigli morti che si salvano dopo lo scontro del 1846 passano dalla parte del Macellaio mentre altri diventano poliziotti corrotti) e di morti eccellenti non troppo distanti dalla storia recente del paese: lo sceriffo irlandese ucciso davanti al popolo dal Macellaio è la morte del presidente Kennedy davanti alla sua gente alla quale, cento anni prima, Scorsese fa dire “Chi vuoi che elegga un irlandese?”. L’America perbenista, ricca e lontana dalla guerra e dalle strade, per pochi minuti appare sullo schermo distante anni luce dalla realtà del paese (il regista compare come padre di una famiglia derubata da Cameron Diaz). La guerra, nei costanti censimenti dello Stato alla ricerca di volontari o inadempienti, in un’unica immagine, simbolica, forte: sul molo del porto, da un lato una schiera di soldati e dall’altro una fila di bare, la partenza ed il ritorno. La religione, tema costante del regista, ancora una volta è chiave di rottura più che di congiunzione, il suo fondamentalismo è immancabilmente morte dell’uomo. Papisti contro protestanti, peccato e redenzione, sono gli elementi che riconducono questo film ad un altro capolavoro del regista, quel Mean Street (1973) d’italiani che volle la domenica alla Chiesa ed il lunedì all’Inferno. Un po’ meno elegante dei suoi precedenti lavori, mastodontico e faraonico (l’interno della birreria è forse una delle più belle scenografie costruite negli ultimi dieci anni del cinema americano, anche se opera dell’italiano Dante Ferretti) il film lamenta carenze che mai il regista aveva mostrato in un suo film: personaggi abbozzati ed incompleti, trama che man mano si assottiglia verso il finale, probabilmente tutto a causa dei tagli imposti dalla produzione che ha voluto la pellicola ridotta da 218 minuti a 170. Molto interessante, il vero punto forte della pellicola, la ricostruzione dei fatti, narrata anche attraverso i giornali, i manifesti e le litografie che fanno parte della prima storia di un paese pieno di contraddizioni (memorabile a tal proposito il Macellaio con la bandiera degli Stati uniti che confessa ad Amsterdam l’omicidio di Padre Vallon). Le parole di Amsterdam a Jenny nel finale, “Nessuno si ricorderà più di noi”, mentre sulle tombe dei morti si sviluppa la civiltà del paese, hanno un senso che va oltre la critica all’America, e che invece raccoglie ed accomuna la storia di tutti i popoli: il sangue dei padri scorre, sottoterra, dimenticato e senza che se ne tragga lezione.

Leonardo Di Caprio purtroppo, che ormai ci ha abituati ad altalenanti recitazioni, non sembra all’altezza del personaggio che rappresenta (perché questa scelta e quella di utilizzarlo anche per il prossimo lavoro?), Cameron Diaz non riesce a far ricredere quella fetta di pubblico meno interessata alla bellezza dei suoi occhi, e tocca a Daniel Day-Lewis, che con Scorsese aveva già lavorato in L’età dell’innocenza (1993), coprire le carenze dei suoi compagni di lavoro, spadroneggiando, gigioneggiando, seducendo e dimostrando al pubblico (anche se non ne aveva più bisogno) di aver raggiunto un livello altissimo di professionalità e bravura. Per gli appassionati di chicche, l’attrice Barbara Bouchet compare come una delle signore ricche che fa un giro a Five points, scortata dal poliziotto J.C. Reilly.    

 

 

Bucci Mario

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