Il
mucchio selvaggio. Sam Peckinpah. 1969. USA.
Attori: William Holden,
Robert Ryan, Edmond O'Brien, Ernest Borgnine, Warren Oates, Emilio Fernandez,
Bo Hopkins, Albert Dekker, Strother Martin
Durata: 144’
Titolo originale: The
wild bunch
San Rafael, sud degli Stati Uniti. 1914. Un gruppo di
militari fa il suo o ingresso nella cittadina e si dirige direttamente alla
stazione ferroviaria. Non sono militari ma banditi travestiti pronti a fare un
colpo. In realtà anche il colpo non è tale, ma un’imboscata preparata per
catturarli. Dopo essere scampati all’agguato, trasformato in una carneficina,
il mucchio riesce a fuggire e scopre di essere stato preso in giro. Ricercati,
si spostano verso il Messico ed arrivano ad Agua Verde. Qui sono ospiti di
Mapache, un bifolco che si è autoeletto colonnello e che se da un lato combatte
contro le forze rivoluzionarie di Pancho Villa, dall’altro fa il doppio gioco
con gli americani. Mapache ottiene che il mucchio assalga un treno carico
d’armi che transita sul confine e che a loro insaputa trasporta anche il gruppo
di Thornton, vecchio compare di Dutch, ricattato dall’autorità per inseguire
lui ed il mucchio. Dopo l’ennesimo scontro a fuoco, il mucchio riesce a rubare
il carico ed a fuggire. Di ritorno ad Agua Verde, Mapache ed i suoi soldati non
rispettano i patti con il gruppo di Dutch (uno di loro, Angel, messicano che
parteggia per l’autodeterminazione del pueblo, è fatto prigioniero e
torturato). Rimasti in quattro, i
membri del mucchio si armano e tornano da Mapache per chiedere indietro Angel
ma il colonnello lo sgozza davanti ai loro occhi. L’inferno apre le porte ad
un’esplosione di pallottole che coinvolgerà tutti. Sopraggiunge al macello il
gruppo di cacciatori di taglie capeggiato da Thornton che si rallegra per il
futuro premio.
Considerato, non a torto, come il miglior lavoro del
regista d’origine indiana, Il mucchio selvaggio è il primo
rappresentante del dirty western, secondo la definizione scelta da
Richard Schinckel e pubblicata su Life (Il castoro – Sam Peckimpah)
infiltrazione sporca nel genere che Hollywood aveva sino ad allora
prodotto del mito del West. Elementi del linguaggio cinematografico che
Peckimpah esalta per questo film sono il montaggio serratissimo (di Louis
Lombardo su 3643 inquadrature) e l’uso del rallenty per tutte le
sparatorie (secondo il regista in scene come queste il corpo umano reagisce ad
una velocità superiore ed è per questo che alcuni istanti mostrano la necessità
di essere dilatati - Il castoro – Sam Peckimpah). Se è vero che i suoi
personaggi non sono degli eroi, nessuno escluso, tra i due elementi classici
dell’immagine, il cielo e la terra, per i primi piani Peckimpah preferisce
utilizzare il primo elemento (che occupa gran parte delle inquadrature)
ottenendo così un risultato che nei fatti contraddice la sua scelta teorica.
Rimane comunque inappuntabile la lucidissima fotografia di Lucien Ballard.
Girato con assoluta devozione per il linguaggio cinematografico delle immagini,
è un crogiuolo di piccolissime citazioni (la rapina al treno proprio nel
momento in cui la locomotiva si rifornisce d’acqua ricorda The great train
robbery (1903) di Porter) ed enormi metafore (il cane morto inquadrato
prima dell’ingresso nel Messico; il neonato in braccio ad una donna con il
caricatore a tracolla; il gruppo di bambini che gioca con la vita dello
scorpione). Importantissima è la funzione dei bambini, presenti sin dalle
primissime inquadrature mentre si divertono a vedere due scorpioni assaliti
dalle formiche, che aiuta il regista a mostrare uno dei concetti fondamentali
del suo cinema: oltre che probabili esecutori di quanto assistono durante
l’adolescenza, nella realtà più cruda i bambini hanno già in se stessi
quell’elemento di violenza o santità che contraddistingue gli adulti. La scelta
di introdurre il mucchio travestito da membri dell’esercito è connesso
con la scelta di forzare l’elemento della violenza di questa pellicola: ciò che
accomuna un bandito professionista ad un militare in carriera è solo l’amore
per la violenza (Il castoro – Sam Peckimpah) e quindi la violenza,
nel contesto storico del paese, è imprescindibile. Ciò che comunque rende
questa pellicola un capolavoro è anche ciò che la rende estremamente lontana
dai prodotti di Sergio Leone: ad un western che comunque prosegue nella
direzione del fallimento del mito, corrisponde in Peckinpah una rigorosa
impostazione documentaristica che esalta il fanatico realismo del suo discorso:
ricostruzione esatta delle battaglie, scelta dei luoghi autentici degli
avvenimenti storici, impiego di veri soldati e di uomini del posto (Dizionario
del cinema americano – Di Giammatteo). Infine la morte, sovrana assoluta
della pellicola e che non spaventa il mucchio anzi, lo attrae. Il soggetto fu
realizzato su una storia scritta da Walon Green e Roy N. Sickner e la
sceneggiatura fu scritta naturalmente dallo stesso Peckinpah. Ebbe solo due
candidature agli Oscar, per la sceneggiatura e le musiche di Jerry Fielding,
ostacolato nel proprio paese per l’eccessiva violenza delle immagini.
Bucci Mario
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