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La leggenda del santo bevitore
Anno: 1988
Regista: Ermanno Olmi;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Italia; Francia;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

La leggenda del santo bevitore. Ermanno Olmi. 1988. ITALIA-FRANCIA.

Attori: Rutger Hauer, Anthony Quayle, Sandrine Dumas, Dominique Pinon

Durata: 125’

 

 

Parigi. Andreas Kartak è un clochard colmo d’onore. È di origine polacca, ex minatore, e nasconde un passaporto con il timbro d’espulsione perché ha ucciso il marito della sua amante mentre questo la aggrediva. Un giorno incontra sotto un ponte un anziano signore che gli offre 200 ff e gli domanda di riportarli la domenica seguente alla chiesa di S. Maria di Batignolles e di offrirli a S. Teresa di Lisieux. Andreas accetta il denaro e l’impegno e per lui la vita cambia: prima incontra un grosso uomo che gli offre altri 200 ff per due giorni di lavoro, poi incontra la sua ex amante che gli fa trovare 1000 ff nel portafoglio, poi è la volta di un ex compagno di scuola (che a Parigi fa il pugile) che gli offre una bella serata ed una stanza d’albergo nel quale incontra una ballerina della quale s’innamora e che però gli ruba quasi tutti i suoi soldi. Sopraggiunta la domenica, Andreas si reca in chiesa per estinguere il suo debito, ma fuori incontra un suo vecchio compagno di miniera che gli domanda la stessa cifra. Disperato, tornato sotto i ponti, Andreas incontra nuovamente lo stesso anziano signore che gli aveva dato i primi 200 ff e questo gli consegna la stessa somma domandandogli lo stesso impegno. Ubriaco al bancone del caffè Le paradoxe, che si affaccia proprio sulla chiesa, Andreas ha la visione della piccola S. Teresa, le offre i soldi per estinguere il debito, ma questa li rifiuta e gliene consegna degli altri. Andreas sviene e, portato in chiesa e fatto sedere su un trono, muore fissando la piccola S. Teresa.

Tratto dal racconto lungo Die Legende vom heiligen Trinker di Joseph Roth, il lento film di Ermanno Olmi è una favola di occasioni, d’incontri e di gesti, in una Parigi colorata e controllata dalle gelatine di Dante Spinotti. Rutger Hauer si muove con la lentezza di un clochard che non ha più fretta e che si sorprende ad ogni piccolo, lento, imprevedibile gesto che sembra cambiargli, anche se di poco, il suo presente. Lento nella parte centrale (sceneggiatura di Olmi e di Tullio Kezich) il film si conclude con un’importante citazione dell’opera letteraria “Conceda Dio a tutti noi, noi bevitori, una morte così lieve e bella” (il miracolo dell’imprevedibilità così si compie in queste ultime parole sullo sfondo nero a seguito della sfumatura su Rutger Hauer). Silenzioso, fortemente cattolico, il lavoro del regista italiano valse un Leone d'oro a Venezia, grazie soprattutto alla sua forma (che non scade nella maniera) ed all’uso della cinepresa che lontano dal protagonista, riesce a consegnargli maggiore autonomia e libertà narrativa. Unica differenza con il testo originale, il pugile sostituisce la figura del calciatore Kanjak.

 

 

Bucci Mario

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