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Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure
Anno: 1975
Regista: Akira Kurosawa;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Giappone; USSR;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure. Akira Kurosawa. 1975. GIAPPONE-USSR.

Attori: Maksim Manzuk, Yuri Solomine

Durata: 140’

 

 

1910. Un uomo si aggira al limite di una città in costruzione alla ricerca di una tomba. 1902. Il comandante Arsenijev ha l’incarico di condurre una spedizione per una rilevazione topografica nella regione vicina alla Manciuria ed in prossimità del fiume Ussuri. Il gruppo fa la conoscenza di Dersu Uzala, un cacciatore della Siberia occidentale che diventa subito la loro guida. Tra lui ed il comandante s’istaura un rapporto d’amicizia e fiducia. Quando la truppa si divide in prossimità del lago Kahan, Dersu ed il capitano si perdono fra i ghiacci ma grazie all’ingegno del cacciatore si salvano trascorrendo la notte in una capanna improvvisata. Arrivati alla ferrovia, il gruppo di esploratori ed il cacciatore si separano. 1907. Il capitano Arenijev è incaricato di una nuova spedizione. Nella foresta che deve esplorare incontra nuovamente Dersu. Per la prima volta il cacciatore siberiano avverte la presenza di una grossa tigre intorno alla spedizione. Pochi giorni dopo s'imbattono prima in una zona piena di trappole per animali, e le ricoprono, e poi in un gruppo di Jambao che dà la caccia ai Konkusi, un gruppo di cinesi che rubano le donne e saccheggiano i villaggi. Attraversando un fiume, questa volta è Dersu in pericolo ma il capitano, ed il gruppo di commilitoni, riescono a salvare il cacciatore siberiano dalle rapide. Mentre proseguono nell’esplorazione s‘imbattono in una grossa tigre e Dersu gli spara contro. Da questo momento l’uomo cambia, Kanga, lo spirito della foresta, sembra atterrirlo e perseguitarlo. Dersu incomincia ad invecchiare ed a perdere la vista ed una notte, dopo aver visto per l’ennesima volta lo spirito Kanga della tigre, decide di accettare l’invito del capitano a trasferirsi in città, presso la sua casa. La scelta non rende però felice il cacciatore siberiano che dopo aver capito di non riuscire a adattarsi allo stile di vita urbano domanda al capitano di poter tornare nella foresta. Un telegramma annuncia al capitano il ritrovamento, presso Kartosa, di un cadavere con il suo biglietto da visita. È il corpo di Dersu, che il capitano segue mentre è sotterrato.

Akira Kurosawa gira un film dai molteplici contenuti, stilistici e filosofici, tanto completo da essere stato assunto a capolavoro del cinema. La storia, innanzi tutto, è raccontata attraverso la voce narrante del protagonista russo, Arsenijev, necessaria ad aiutare lo spettatore a comprendere il significato metaforico di molte sequenze ed immagini (“Come è fragile l’uomo, debole e piccolo.”) nelle quali i protagonisti sembrano muoversi come attori di teatro, su un palcoscenico che è la Natura, sempre incombente, a volte furiosa, a volte amabile e divertente (fuoco, acqua e vento sono per Dersu alla pari di tre uomini fori, e Kurosawa riesce a mantenere tutto questo in un’unica, stupenda, inquadratura). La natura ostile, nella quale l’uomo affonda il piede e si trascina, è il mondo dal quale l’essere umano fugge per rifugiarsi in una civiltà, rappresentata dalla vita di città, che in realtà non è altro che un insieme di leggi privative (non si può raccogliere l’acqua, non si può tagliare la legna, non si può dormire in una capanna o sotto le stelle). La fotografia contribuisce a mantenere viva la presenza degli elementi naturali, mettendo in risalto dettagli davanti all’obbiettivo e facendo in modo che ogni angolo dello schermo sia invaso da una forza del linguaggio che solo l’ambiente naturale è capace di mostrare, zittendo l’uomo ed avvolgendolo in se stesso. Importante anche la scelta del linguaggio che il regista sceglie di adottare per il personaggio di Dersu, storpiato del suo senso grammaticale e necessario a mantenere il senso di differenza culturale (cosa che non avviene invece quando incontrano gli Jambao, che parlano la stessa lingua di Arsenijev, pur essendo questi cinesi ed il capitano russo). Uso misurato della musica che sfrutta un motivo allegro e non contestuale solo quando il capitano Arsenijev affronta i ricordi osservando le foto scattate in compagnia di Dersu (la fotografia è ricordo, il cinema, un insieme fluido di memorie, il cinema rivolto al passato, la somma predilezione di questo regista). Infine, Kurosawa non rinuncia a metafore e visionarietà che, con il proseguire della sua carriera spesso esaspererà, soprattutto nella scena della notte d’inverno nella quale fa la sua ultima apparizione la tigre, lo spirito Kanga della giungla (sovrappone alle immagini una fluorescenza che enfatizza la metafora ed il sogno). Commovente il senso di amicizia che persuade Dersu dal lasciare cibo anche agli sconosciuti e con il quale si confronta il grande senso di amicizia e rispetto del capitano russo. Come ho detto in apertura, completo come solo un capolavoro può esserlo. Il film è stato tratto da due libri scritti da Vladimir K. Arseniev (il regista ha mantenuto per il capitano il nome dell’autore e con l’uso della voce narrante ha mantenuto anche il seno di romanzo di questo lavoro). Premio per miglior film al Festival di Mosca e Oscar 1976 per il miglior film straniero. Primo lavoro del regista dopo il tentato suicidio del 1971.

 

 

Bucci Mario

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