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Amores perros
Anno: 2000
Regista: Alejandro Gonzáles Iñárritu;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Messico;
Data inserimento nel database: 04-12-2003


La grande guerra

Amores perros. Alejandro Gonzáles Iñárritu. 2000. MESSICO.

Attori: Gaël García Bernal, Vanessa Bauche, Alvaro Guerrero, Goya Toledo, Emilio Echevarria, Jorge Salinas

Durata: 147’

 

 

Tre capitoli. Tre storie. Un luogo: l’area metropolitana di Città del Messico e più precisamente ancora il Distrito Federal. Il primo episodio Octavio e Susanna è una storia di cani e di padroni che combattono, abbaiano e odiano per danaro; nel secondo, Daniel e Valeria, si parla del declino di una bellezza (quella di Valeria dopo l’incidente) e di una coppia ad essa legata; nel terzo episodio infine, El Chivo e Luis, un barbone (killer professionista ed ex zapatista) sequestra due ricchi imprenditori e medita di far ritorno a casa dalla figlia, lasciando che questi due si ammazzino da soli.

L’esordio cinematografico di Inarritu è una bomba senza precauzione di orologeria, spedita al cinema con posta celere dal Messico. Tre storie di una ferocia e crudeltà disarmante, montate come da tempo non si vedeva fare (in questa fase ha partecipato anche il regista). Sequenze diluite, punti di vista e posizioni diverse dei personaggi che s’incontrano solo in un tremendo incidente frontale. Un film di cani (i volti, le posizioni, i movimenti rimandano tutti a comportamenti ed immagini cinofile) che abbaiano, mordono, soffrono o hanno sofferto, per raccontare la storia più moderna del Messico che, alla fine, deve ripartire da una nuova marcia verso la capitale, una volta che tutti si sono uccisi fra di loro (lo sguardo esterno della città nei fotogrammi finali, il passo di El Chivo). Una fotografia perfetta (Rodrigo Prieto) ed un cast interessante e bravo (il primo episodio è qualcosa che va oltre l’adrenalina) per un lavoro che spesso appare simmetrico (cani e uomini si sbranano fra loro, divisi per branchi, nella topaia di El Chivo) ma mai dissonante (la coppia d’imprenditori del terzo episodio rimanda a quella dei cani da combattimento del primo). La sceneggiatura di Guillermo Arringa spesso sembra dare allo spettatore quello che si aspetta ma non è così (il buco nel pavimento è un esempio di straziante suspence), il montaggio audio-video disarma la fantasia, spiazza e soprattutto convince e soddisfa. Interessante anche la relazione tra il titolo (Amori cani) e la pellicola stessa, dove in realtà non s’intravede un solo frammento d’amore (tutto sembra necessario e mai veramente sentimentale, tanto che anche un bacio può essere visto solo come una via di fuga e la salvezza di un cane è spesso necessariamente legata alla morte di altri). Camera da presa sempre a spalla, nessun carrello, quasi nessuna panoramica, il cinema che Inarritu ha in mente è fatto d’altri movimenti. Città del Messico sembra non esistere nemmeno per quanto è trascurata la sua immagine, taglio basso delle inquadrature e presenza negli esterni di sole automobili (il via vai della città) e luoghi che spesso a nessuno capiterebbe di vedere (la rivendita delle auto rubate, piscine per combattimenti fra cani, la baracca di El Chivo). Un esordio grandioso, se si tiene conto della lunghezza del film e del fatto che non si riescono a staccare gli occhi dallo schermo. Impossibile da raccontare, necessariamente da vedere. Essenziale la frase del gestore di scommesse clandestine, nelle sue parole “Il mondo è fatto a scale, c’è chi scende e chi se la prende nel culo” nessun accenno alla possibilità di una risalita, è il fallimento del sogno Messicano. Per ricominciare, sembra dire Inarritu, bisogna ripartire dalla morte dei branchi e dal riconoscimento degli errori compiuti dai rivoluzionari.

 

 

Bucci Mario

        [email protected]