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187 Anno: 1997 Regista: Kevin Reynolds; Autore Recensione: Luca Aimeri Provenienza: Usa; Data inserimento nel database: 25-08-1998
Thriller, con Samuel L
Codice omicidio 187
Tit. or.:
187; regia: Kevin Reynolds; sceneggiatura:
Scott Yageman; fotografia: Ericson Core; scenografia:
Stephen Storer; costumi: Darryle Johnson; montaggio:
Stephen Semell; cast: Samuel L. Jackson, John Heard, Kelly
Rowan, Clifton Gonzàlez Gonzàlez, Tony Plana, Karina
Arroyave; produzione: Icon Entertainment International/
R U Dun Productions; prodotto da: Bruce Davey,Stephen McEveety.
Usa, 1997; durata: 1h e 57'.
"When schools become
war zones and both sides start taking casualties, what then?"
Medio thriller in cui il prof. Garfeld (Samuel
L. Jackson) funge da guida nell'incubica realtà dell'insegnamento
"in prima linea", ovvero nelle strutture scolastiche
dei quartieri-a-rischio delle metropoli statunitensi: prima a
New York dove viene accoltellato da uno studente, poi a Los Angeles
dove, per reinserirlo, gli viene affidata una classe infernale,
perlopiù composta da membri delle gangs. Il meccanismo
reggente dell'operazione consiste nel proporre un professore convinto
del proprio ruolo, tanto da inventare sempre nuove soluzioni per
coinvolgere i difficili studenti e da seguire personalmente/extra-scolasticamente
quelli che mostrino un minimo di motivazione; un professore in
cui il "senso della missione" è quasi religioso...:
una determinazione che, entrando in collisione con la violenza
subita, si tinge di paura e si fa aggressiva. La violenza diffusa
nel nuovo contesto di lavoro (una Los Angeles di cemento crepato,
recinzioni e desolazione), la sensazione costante della minaccia,
le provocazioni degli studenti, accelerano il ritmo della sua
mutazione in giustiziere. Il tasso di ambiguità del personaggio,
grazie all'interpretazione attenta e convincente di Jackson, è
l'elemento portante del filo suspense che attraversa l'operazione;
dal canto suo, Reynolds lavora a fondo sulla delineazione di una
realtà incandescente (anche climaticamente), cronicamente
incrinata, statica nel suo radicamento nell'amalgama di un melting-pot
esplosivo: le lunghe "sequenze a montaggio" di spazi
urbani periferici, le tonalità calde della fotografia,
gli effetti di rallentamento delle riprese, integrandosi perfettamente
con le sonorità dub-esotiche del trip-hop dei Massive
Attack, assumono tratti quasi apocalittici che le riscattano
dall'estetica clip da cui sono mutuate, assumendo i contorni di
vere e proprie cartoline dall'inferno - credibili per quanto costruite.
Questi lunghi segmenti musicali a basso tasso narrativo (piuttosto,
evocative/contestualizzanti) assolvono anche a una funzione di
scansione temporale; ma sono cesure espanse, delle sospensioni-pause
nella progressione, e contribuiscono a mantenere in tensione un
intreccio che si è voluto sostanzialmente scarnificato
per concedere respiro al tema che lo sottende. Un effetto di sospensione
grava sull'intero film come una cappa di ineluttabilità;
così, quando nel finale si verifica il confronto diretto
tra il protagonista e l'antagonista, la carica dell'evento sortisce
un effetto di risonanza e viene restituito a durata e tragicità.
La ruvidezza dello slancio conclusivo tuttavia viene smorzata
da un epilogo retorico - paradossalmente, nel tentativo di illustrare
un'ultima posizione rispetto al tema per elevare definitivamente
l'autore al di sopra delle parti. Palpabile una ricerca "realistica"
(dichiarata: il film è tratto da un libro scritto da un
vero professore, e la pellicola non esita a ricordarlo con una
didascalia su campo nero, a sigillo del racconto), forti alcuni
momenti, di grande impatto certe soluzioni audio-visive, ma forse
alla vena avevano già attinto troppe pellicole (molte recenti)
e in questo territorio limitato Reynolds non è riuscito
a battere un nuovo sentiero. Ma meno affabulato, e più
ambizioso, di altri film sulle "scuole di frontiera".
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