Allo stesso tempo la donna rappresentata da Auster (sia la moglie di William Hurt in Smoke o la madre di Moon Palace o la fotografa di Leviatano , come l'amante di Mr.Vertigo) è sicura di sé, è per lo meno un riferimento positivo: tutte sono rassicuranti, indipendenti e già consapevoli senza bisogno di autocoscienza in scantinati. A Mira Sorvino spetta interpretare una pletora di ruoli (Celia e Lulu, ma anche la suora, la puttana, la vittima di un omicidio e quella di una torta in faccia, compendiando i ruoli femminili del cinema, in particolare quello del periodo del film di Pabst), che riassumono l'eterno femminino, ribadendo la figura che maggiormente ha occupato l'immaginario maschile non solo erotico, ma seduttivo a tutto tondo di Louise Brooks, particolarmente evocata nelle sequenze inesistenti nella versione italiana, dove c'è un ulteriore episodio di travestitismo (Chaplin, foto che, in una cura del dettaglio maniacale, ritorna nella sequenza del film in cui Lulu affronta il marito e poi in un poster regalato a Lulu ormai macilenta puttana nella versione originale, non massacrata dalla distribuzione italiana, che ha censurato persino Jack lo squartatore), che moltiplica le facce dell'arcano personaggio rendendolo ancora più sfuggente eppure familiare; Celia per prima capisce la forza della pietra blu, fino addirittura a coincidere con l'essenza della pietra, tanto da finire con l'immergersi nel punto stesso del Liffey, in cui vediamo a malapena inabissarsi il magico minerale durante il rito funebre che Celia officia sul ponte, dando il titolo al film. Con quella uscita di scena che accomuna la giovane alla malia della pietra magica quegli stereotipi vengono riassorbiti dal mistero della luce blu borgesiana, esaltando la S'il-ya del dubbio di Van Horn: lo sfuggente arcano che non si sa se c'è e sotto quale forma aleggi.
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