Editoriale
28/2/2001 Letture di fisica: i corpi nei film
Introduzione
Non più corpi cronenberghiani dilaniati e accartocciati, contaminati di lamiera e costellati di feritoie, nessuna metropoli incorporata per essere poi eroticamente rimessa ai debitori e vomitata in nuove cristallizzazioni, semmai un dentro che fuoriesce, organi pescati e sminuzzati; corpi solo esteriori mascherati e ricoperti di stratificazioni, coperture supplementari rispetto allepidermide, involucro di organi. Niente affatto nuove archeologie del fuori, fantasmi inguainati, super eroi vestiti di altri corpi, erosi, ridicolizzati in cliché zingareschi o pseudostorici gladiatori, coperture di transessuali alla radice del cuore, vampiri magari, ma sempre esseri naturali, magari magica-mente. Ultima stazione disabitata per lansia per la metropoli che ingloba e si inocula tetsuoninamente.
Tsukamoto Shinya aveva scoperchiato gli infiniti meandri di un corpo labirintico, meticciato organico di concrezioni, liberate per venire costrette in nuove forme. Da allora quelle metamorfiche serie di utensili inglobati in corpi cangianti sono diventati imprescindibili, anche dopo la definitiva digestione delle contaminazioni.
Esiste una tendenza che avevamo già rilevato in un precedente editoriale che si premura di connotare in modo potentemente fisico l'immaginario che anima alcune pellicole, le più significative per la ricerca di spazi di originalità. Questa fisicità spinta all'estremo non si fonda su pulsioni ancestrali o su elucubrazioni che filtrerebbero la pura e semplice presenza che scardina i canoni del racconto di passioni. Si avverte la vacanza del coinvolgimento emotivo-sentimentale, che rende celibe la macchina desiderante sia nei ragazzini di Kràmpack, sia nelle cronache da Berlino sui trentacinquenni di Intimacy. Straordinariamente non viene meno l'intimità: i corpi ne hanno bisogno, la ricercano; quello che svanisce è la romantica idea di legame sentimentale soppiantato dalla tirannia dei corpi che non sono nemmeno più meramente erotici, ma, con scansione temporalmente diversa, desideranti, quasi liberati da vincoli ri"produttivi", ma rosi dal dubbio di non conoscere le possibili espressioni alternative alle canoniche e superate esibizioni: le soluzioni prospettate sono riconducibili a due preminenti intuizioni. Da un lato la sublimazione dei corpi, resi eterei o virtuali, dall'altro la esagerazione della palpabilità.
Questa seconda opzione non è più ritmata sulla frenesia con cui si consumavano corpi e spiriti abitati dall'amore e dal sesso; i tempi non si colgono più come ripetitivi (e questa è la chiave per sopportare film come La Noia), non sono ossessivi (anche se li recepiamo come tali), perché non bisogna più mediare tra componenti sentimentali coinvolgenti e soddisfazione puramente orgasmatica: il ritmo è scandito dal corpo, lo spazio è occupato dalla presenza. Da dove sennò proverrebbero quei sempre più frequenti particolari di volti, sottolineature di centimetri di epidermide, ritagli di pelle, magari non più statuaria e perfettamente liscia e senza smagliature, zone erogene - puerili come il pomo d'Adamo di Nico nel fenomeno giovanilista catalano o inchiodanti all'attuale indifferenza come il freddo mini stupro di Dani sempre in Kràmpack, unico momento davvero non reticente del film, che però viene costretto dall'incombenza dei corpi a registrarne l'urgenza - spesso non più acerbi (Liaison più o meno pornographique) e anche quando lo permangono, vengono selezionati non secondo criteri di avvenenza, ma perché accentuano particolarità, una caratteristica che li rende particolarmente affezionati alla mdp che li ricerca, riempie lo schermo di corpi, preferendo gradatamente spogliarli: bella - forse l'unica davvero significativa, oltrepassando i toni alla Rohmer delle Pauline à la plage del resto del film - la sequenza della festa in Kràmpack dove ciascun partecipante esalta le sue doti mascherandosi in vestiti improbabili, che subito si sfilano perché incongruenti con l'interesse dei corpi stessi eppure essenziali per contribuire a mascherarli, connotarli di uno stereotipo dai contorni evanescenti nel momento in cui i corpi si spogliano dei ruoli-vestiti, maschere che si fanno corpi protagonisti quando si liberano della seduzione artificiosa, e vestiti che moltiplicano la seduzione del corpo feticcio di Maggie Cheung, trasfigurata nei panni anni Sessanta in un gioco di soglie che taglia fuori certi corpi (ricordate il dialogo completamente fuori campo in Boy meets girl con i due protagonisti che discutono su come toccarsi: lì la parola evocava fortemente i corpi acuendo il lavoro dell'immaginazione, qui il fuori campo invece serve ad aumentare l'affezione del nostro occhio per i corpi in campo, mentre le parole sono soltanto tonalità di un corpo) per esaltare la presenza di altri, che si stagliano sull'atmosfera patinata degli ambienti, squarciando il velo della nostalgia glamour di Wong Kar Wai e imponendo, come già nella masturbazione di plastica sempre della stessa attrice in calze a rete da bambola, i bisogni del corpo su quelli del panorama sintetico, fatto di oggetti - e anche corpi reificati - che sono sintesi artificiale di episodi e mondi di un passato da recuperare dai meandri del ricordo, fatto di musiche, situazioni linguisticamente codificate e gesti riconoscibili, ma decontestualizzati per esagerare la valenza dei corpi, plasmati dalla pioggia, sagomati dai vestitini degli anni Sessanta.
Occupando lo spazio come Björk e tutti gli infiniti musical che stanno fagocitando gli schermi non tanto per liberare la musica, quanto per reinterpretare i corpi, attribuendo nuovi ritmi capaci di concentrare echi passati e pulsioni future: le coreografie di Björk inneggiano al corpo costretto dal lavoro o dal paesaggio della frontiera o comunque dalla codifica linguistica di un corpo modernista, a cui si sottrae la vista, l'autonomia e poi la vita. Sempre comunque a partire da una percezione del corpo già immaginata e inserita in precedenti testi.
Sono corpi che non corrispondono a figure retoriche sostenute da idee, ma si limitano ad essere tangibili, a occupare luoghi connotati il meno possibile o svuotati , poiché già i corpi sarebbero reificati, se non avessero già oltrepassato la loro oggettificazione, passando a diventare elementi attivi quasi inconsapevoli di essere attori. E la loro attanza è legittimata da un bisogno totalmente diverso da quello vecchio dei film ancora "sentimentali", fatti di caratteri e tipaz, ma anche da quelli del porno più spinto. Allo stesso modo non sono più rappresentative nel cinema esplicitamente erotico, ma non in distribuzione a luce rossa: la virulenza delle inculate come poteva essere in Guardami, le qualità dei rapporti plurimi o del sado-maso del vecchio L'età di Lulù, le quantità di sperma schizzato o inghiottito da pompinare più o meno professionali (le vecchie Detmers o Lovelace), bensì sono i ravvicinati contatti con le epidermidi delle due ragazze di Baise moi, che si agitano inconsapevoli della loro diversa forma di quella che non è più seduzione come poteva insegnare Klossowski, la disperata odissea di O Fantasma, persino gli sgraziati fagottini di Rosetta o di La Strada verso casa (imbozzolata per diventare farfalla svolazzante per Ang Lee a dimostrare che le due risposte alla fisicità contemporanea hanno parentele strettissime essendo parte di una coppia oppositiva), chiamati a riformulare la visibilità dei corpi sullo schermo: tutti "proiettati" verso una unica direzione, sia che si liberino immemori della forza di gravità, come - non a caso rievocando la liberazione intrapresa nei 70s - le figure di Crouching Tiger Hidden Dragon; sia che percorrano pesantemente, lasciando tracce evidenti e liberando afrori come le ragazze di Baise moi; sia che i corpi finiscano la ricerca di imporre la loro "pura" contaminazione organica, diventando marionette, rischiando di nuovo di venire riassorbite nel gioco autoritario che li vuole sublimare, ma riuscendo a trovare una scappatoia per rimanere algide presenze non eteree, anzi tangibili, concrete, immerse nella sessualità, eppure non etichettabili, non riconducibili a comportamenti (Breillat: Romance come, meglio - pare - À ma soeur)
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