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O fantasma – Il fantasma
Regia: João
Pedro Rodrigues
Sceneggiatura: João
Pedro Rodrigues, José Neves, Paulo Rebelo, Alexandre Melo
Fotografia: Rui Poças
Produzione: Amãndio Coroado, Rosa Filmes
Interpreti: Ricardo Meneses (Sérgio), Beatriz Torcato (Fátima), André Barbosa
(João), Eurico Vieira
(Virgilio)
Origine: Portogallo, 2000, 90 min.
$align="left"; include "image1.php3"; ?>Il fantasma è il luogo oscuro
dell’anima. Tale visione fantasmatica, quando esplode in immagini
“insopportabili”, può provocare un rifiuto netto, che è il sintomo di una
rimozione psicologica. Il titolo del film è inequivocabile. Innanzi tutto si
può riferire alla nozione classica della psicanalisi freudiana, per la quale il
termine indicherebbe la scena immaginaria in cui il soggetto è presente come
protagonista o come osservatore, e in cui si realizza l’appagamento dei suoi
desideri inconsci, i fantasmi di desiderio. E nel film di Rodrigues questa
nozione assorbe completamente l’esile intreccio narrativo, ma soprattutto, le
caratteristiche stilistiche della rappresentazione. L’interpretazione del film
potrebbe dunque corrispondere alla analisi del fantasma. In “Logica del senso”
Deleuze descrive le caratteristiche del fantasma, partendo dagli studi freudiani,
ma tentando una difficile estrinsecazione del senso (che consisterebbe nel
verificarsi dell’evento) da quello che si può considerare un fenomeno potente e
misterioso della natura umana e non solo. Vediamone gli elementi principali
cercando di inferirne la dimensione perspicua inerente al film.
“Il fantasma ha tre caratteri principali.” – ne considereremo qui soltanto due
- “1) Non rappresenta né una passione, bensì un risultato d’azione e di
passione, cioè un puro evento. La questione se tali eventi siano reali o
immaginari non è ben posta. La distinzione non è tra l’immaginario e il reale,
ma tra l’evento come tale e lo stato di cose corporeo che lo provoca o nel
quale si effettua. Gli eventi sono effetti. Ma appunto perché effetti essi
devono essere collegati con cause non soltanto endogene, ma esogene, stati di
cose effettivi, azioni realmente intraprese, passioni e contemplazioni
realmente effettuate” Si tratta, in effetti, di una precisa definizione/posizione
del fantasma che si situerebbe per così dire in un frammezzo, in un territorio
neutro o intermedio: “Il fantasma, alla maniera dell’evento che rappresenta, è
infatti un attributo noematico che non soltanto si distingue dagli stati di
cose e dalle loro qualità, ma anche dal vissuto psicologico e dai concetti
logici. In quanto tale fa parte di una superficie ideale, sulla quale è
prodotto come effetto e che trascende l’interno e l’esterno, poiché ha la
proprietà topologica di mettere in contatto il suo lato interno e il suo lato
esterno per dispiegarli su un unico lato. Il fantasma-evento è perciò
sottoposto alla doppia causalità, rinviando da un lato alle cause esterne e
interne da cui risulta in profondità, ma dall’altro alla quasi-causa che lo
opera alla superficie e lo fa comunicare con tutti gli altri eventi-fantasmi”.
Nel film il percorso di Sérgio si configura come semplice evento: vediamo
compiersi brutalmente il risultato dell’appagamento di un desiderio in tutte le
sue varianti. Bisogna aggiungere che nel caso di Sérgio non abbiamo alcun
processo parallelo di controeeffettuazione. Capacità con la quale potrebbe
essere individuato quell’unico germe d libertà, e cioè la possibilità di
sublimazioni e simbolizzazioni del fantasma. Nel film, assistiamo,
probabilmente a una “effettuazione” radicale del fantasma: non ci sono né
filtri, né contromisure, né tanto meno operazioni di sublimazione. “Né attivi
né passivi, né interni né esterni, né immaginari né reali, i fantasmi hanno
proprio l’impassibilità e l’idealità dell’evento. Di fronte a tale
impassibilità ci ispirano un’attesa insopportabile, l’attesa di ciò che
risulterà, di ciò che sta già risultando e che non finisce di risultare”. È
chiaro che l’effettuazione del fantasma può configurarsi come una coazione a
ripetere all’infinito. Nel film assistiamo a un girovagare del personaggio e il
succedersi delle azioni che si perpetua senza che si possa intravedere un esito
definito.
“2) Il secondo carattere del fantasma è la sua situazione rispetto all’io o
meglio la situazione dell’io nel fantasma stesso. È vero che il fantasma trova
il suo punto di partenza (o il suo autore) nell’io fallico del narcisismo
secondario. Ma se il fantasma ha la proprietà di rovesciarsi sul suo autore,
qual è il posto dell’io nel fantasma, tenuto conto dello svolgimento o dello
sviluppo che ne sono inseparabili?” Questo interrogativo coincide con una
prerogativa del protagonista Sérgio: il processo di individuazione di una
soggettività nel flusso di immagini che sembrano inglobarlo, quasi a sbiadire e
dissolvere i connotati umani, il costume nero è un segno del vuoto, del buio,
che è un continuum con l’oscurità dell’ambientazione. Per Laplanche e Pontalis:
“Il fantasma originario si caratterizzerebbe per un’assenza di soggettivazione
abbinata alla presenza del soggetto nella scena… si trova abolita ogni
ripartizione tra il soggetto e l’oggetto… il soggetto non mira all’oggetto o al
suo segno, figura egli stesso preso nella sequenza di immagini…, viene
rappresentato come facente parte della scena senza che, nelle forme più vicine
al fantasma originario, possa essergli assegnato un posto”. Questa concezione
si riferisce a un’individuazione dell’io autoerotico: Sérgio che rivela il suo
io narcisistico, si guarda allo specchio (un’immagine classica della sindrome
narcisistica) ed è omosessuale, cioè è attratto dallo “stesso” (homos). Ma l’omosessualità
è anche la posizione neutra, una scelta forse: “in altre parole, entro nel
neutro quando mi accorgo che l’opposizione posta dall’opinione corrente (per
esempio quella tra maschile e femminile) è inadeguata a descrivere la mia
esperienza… differente rispetto al modo in cui la sessualità è stata pensata
finora” (Perniola in “L’arte e la sua ombra” citando Barthes). E del resto tale
posizione è la stessa che abbiamo già delineato nella definizione deleuziana di
fantasma.
Deleuze nell’individuazione dell’io nel fantasma si spinge ancora più avanti:
“In verità, il superamento dell’attivo e del passivo e la dissoluzione dell’io
non si compiono nella direzione di una soggettività infinita o riflessa… Ciò
che appare nel fantasma è il movimento per cui l’io si apre alla superficie e
libera le singolarità acosmiche, impersonali e preindividuali che imprigionava.
Le libera alla lettera come spore ed esplode in tale alleggerimento. Bisogna
interpretare l’espressione energia neutra in questo senso: neutro significa
dunque preindividuale e impersonale, ma non qualifica lo stato di un’energia
che verrebbe a raggiungere un senzafondo, rinvia al contrario alle singolarità
liberate dall’io mediante la ferita narcisistica”.
Come si vede le pratiche sessuali corrispondono soltanto a una particolare
rappresentazione del fantasma, effettuazione di alcuni eventi alla superficie.
Ma certamente “Il fantasma” rappresenta integralmente un mondo di ombre. La
contrapposizione tra idealità ed ombre è ben nota dai tempi di Platone. E
dobbiamo senz’altro ricordare l’incapacità dei filosofi di esplorare i mondi
sotterranei, mentre sono stati soprattutto letterati e poeti a rammentarci
questa ingombrante presenza (vedi a proposito i saggi di Aldo Carotenuto ed in
particolare I sotterranei dell’anima o Franco Rella Le soglie dell’ombra.
Riflessioni sul mistero” e il recente “L’arte e la sua ombra” di Mario
Perniola). Vorrei chiudere citando un brano da “Negli occhi di Vincent. L’io
nello specchio del mondo” di Franco Rella, che potrebbe essere utile a
comprendere l’ostilità maggioritaria nei confronti di questo film, proprio
perché mette allo scoperto le ombre che vorremmo nascondere o fare finta che
non esistano, ma ciò è impossibile. “Ma cosa resta dell’uomo quando questi è
privato della sua notte e delle immagini che dentro questa notte abitano? Il
filosofo muove dietro all’idea, ben sapendo come ha scritto Hegel nella
Fenomenologia, che questa non potrà trasformarsi in verità se non mediante
l’azione negatrice, che distrugge ciò che le si oppone. Questo è il compito del
filosofo (a cui seguiranno, ha scritto Hegel, se necessario, cannoni ed
eserciti), anche se questa distruzione dovesse significare la distruzione del
mondo intero. Infatti, ha detto ancora Hegel, è distruggendo il mondo che non
corrisponde all’idea, che si creerà, grazie a questa stessa distruzione, il
mondo conforme all’ideale. [Tali osservazioni di Hegel, che fanno un po’
tremare i polsi, rientrano nel discorso sul virtuale, sulle immagini digitali,
e su quella fatale oscillazione verso le idee platoniche, che il nostro Adriano
Boano, ha letto in una chiave lucidamente effettuale]. “Ci troveremo
così nella luce, di faccia a un mondo ideale, ma “scorticato”, ha scritto
Bugalkov, della sua ombra. Di faccia a un mondo di macerie, a una sterminata
distesa di rifiuti, che stanno nelle periferie della repubblica platonica, o in
quelle dello stato dello spirito assoluto di Hegel.” Che è poi l’universo
marginale, periferico, la stessa distesa di immondizia descritta da Rodrigues.