Si evidenziano così i tratti somatici dello stereotipo del vecchio west, utili per gettare una luce sulle comunità della provincia statunitense, mai così tratteggiata nelle sue componenti più rassicuranti e al contempo arricchita dei suoi valori più profondi, quelli che l’hanno resa mito. E spesso veniamo colpiti da un’immagine che è ormai repertorio, eppure non l’abbiamo mai vista così: la strada che si perde diritta (straight in inglese), lontanissima, con in primo piano una figura alla Millet, reclinata a guardare la carcassa di un cervo; languido momento subito negato dalla bonaria ironia del falò su cui cuoce il cervo. L’evidenza della perpetuazione dell’epopea western.

Ma ancora di più si notano i legami con il mito western: le occasioni per scambiare esperienze e umanità sembrano alludere a quei lunghi momenti meditativi attorno al fuoco dei film di John Ford, a cui Richard Farnsworth partecipò in gioventù; lo stesso avviene per i tramonti in controluce, sottolineati dal cappellaccio da cow-boy (che un autotreno fa volare via) o i profili che scrutano l’orizzonte; s'incaricano di drammatizzare la scena gli improvvisi temporali da cui cercare riparo tra l’iconografia dei viaggiatori del Far West e lo sguardo lucreziano di chi è in salvo al coperto, ma viene chiamato da un lampo che squarcia le tenebre a intraprendere un doloroso e umile pellegrinaggio; le immense aperture sulla campagna inquadrata coi grandangoli da schermo anamorfico che deformano la cicciona intenta a rimpinzarsi di donouts all'inizio estendono la prospettiva ben oltre lo schermo ma sempre inserendo romanticamente la figura dell'uomo nel sublime contesto titanico; si tocca con mano la parentela di tutti i road-movie (qui è la "18 West") con le carovane di diligenze verso l’Ovest, che percorsero il midwest sotto quel manto di stelle in cui a volte sorprendiamo il vecchio perdere il proprio sguardo, spinto ad evocare l’infanzia in Minnesota, la casa in Iowa, scrutando la meta al di là del Mississippi, il Wisconsin (terra in cui "si fanno grandi feste").

E anche questa è un’epopea: l’impresa appare insensata, ma viene colmata di commozione dalla frase con cui Lyle (l'Harry Dean Stanton già post-western nel Paris, Texas di Shepard/Wenders) accoglie il fratello da sotto lo zuccotto calcato sull'espressione perennemente mesta:

"Hai fatto tanta strada con quel coso per venire da me?",

non c’è bisogno di altro per recuperare un affetto sepolto, l’impresa epica, per quanto incruenta e bizzarra, compie il miracolo.