Un nostos che senza darsene l’aria inanella tutti i ricordi: la famiglia numerosa e ormai autonoma, la moglie morta, la figlia sollecita e "strana" in occasione dell’incontro con la ragazza incinta; la distanza dalla frenesia del mondo del lavoro (significativamente non ci sono coordinate sulla sua attività passata), con cui ha rapporti nell’episodio del cervo (deer in inglese) e in mezzo agli autotreni – mostri alieni –, momenti di sguardo laconicamente perso per impossibilità di comprendere quello stress; la guerra, lancinante rimorso dettagliato solo attraverso gli occhi, duplicati da quelli dell’interlocutore che l’ha esperita e ne è rimasto altrettanto segnato, il momento più immediato del filosofico Thin Red Line di Malick e più sconvolgente del Saving Private Ryan di Spielberg (motivo di questa segnalazione presso le sequenze degne di "chapeaux"); e nel finale all’incontro con il prete si riserva il respiro più ampio del racconto, nel cimitero pacificato dal bivacco, qui si narra l’infanzia e il legame con il fratello da riprendere in un anello perfetto, conseguito attraverso ritmi insostituibili, che coincidono con i tempi del racconto, che va a concludersi su un’altra faccia, la meta da raggiungere – che ribadisce il traslato dal corpo al territorio – e che si anela anche da parte dello spettatore: ce ne accorgiamo quando i tempi si fanno ancora più estenuanti nell’epilogo e noi vogliamo finalmente arrivare in porto. Trovare pace, sentimenti fraterni. Riposo nella distensione degli intensi eppure offuscati colori dell’autunno del Wisconsin.