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Forse la scelta di chiarire questo doppio parallelo tra il film di Lynch, l'opera di Hopper e l'iconografia western all'interno della sezione denominata ¨chapeaux¨ proviene dal fatto che Alvin si calca per tutto il film il cappellaccio in testa e quando gli viene soffiato via, l'avventura si interrompe sospendendo momentaneamente quel cammino inarrestabile: «É tutta la vita che sono in viaggio».
Certo, si tratta di banalità quasi disarmanti («Certo, ho imparato a separare il grano dalla crusca», oppure: «La cosa peggiore della vecchiaia è il ricordo di quando si era giovani»), tuttavia se ne accetta la schietta naturalezza con cui gli autori ritagliano nella quotidianità una fiaba credibile, per quanto sia edulcorata, vera nonostante la manipolazione, verosimile più di un reportage; questo solo in virtù del fatto che la cinepresa scandaglia l'anima attraverso il volto aperto del vecchio e lo fa con scelte di ripresa non "veriste" come quelle dogmatiche con la camera a mano, bensì "oggettive" riesumando i vecchi tagli di inquadrature dei film mitici, che hanno fatto l'immaginario del west e quindi gli aneddoti che affiorano risultano più autentici sprofondati nella loro iconografia classica.
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