Non ci riferiamo ai due ineffabili direttori del Torino Film Festival orfano di Steve Della Casa - e si sente e si tasta, perché manca la sua classica risata sgangherata e perché non si vede un minimo di cinema "contro"; e lo sporadico cinefilico è di quello saccente e intellettualistico alla Turigliatto; nulla che faccia davvero godere il palato del cinefilo.
Noo! quando ci chiediamo "Che cazzo ci facevano lì?", vogliamo dire i carabinieri, i "loro" ragazzi, quelli che da più di un secolo obbediscono ammazzando, servono qualunque potere da mercenari, intascando il soldo per sporcarsi le mani e qualche volta incontrano l'incidente sul lavoro e come tutti i lavoratori ci rimettono la pelle; più spesso la fanno rimettere agli altri, quelli che hanno ammazzato Carlo, ma anche Giorgiana, Walter, Francesco... e più indietro Serantini, Pinelli,... e quelli di Tambroni, fino ad arrivare ai 50 morti dei tumulti contro la prima guerra mondiale, qui a Torino nel 1915 e ancora più indietro...: ecco, quelli! come cazzo ci sono entrati al Torino Film Festival, con un branco di pecoroni alzatisi in piedi, invitati da Rondolino a rispettare un minuto di silenzio non solo ipocrita, ma anche colonialista... in un festival internazionale che aveva fatto - all'inizio - del terzomondismo una sorta di bandiera! Shame on you! Vergogna: ce l'hanno mandati i fasci a morire con la connivenza di venduti socialdemocratici, li hanno mandati lì dove non dovevano stare e adesso si grattino le croste loro: li pagavano profumatamente (con le nostre tasse di noi che non abbiamo voluto questa guerra e lo abbiamo anche dimostrato rumorosamente e numerosamente) e sapevano perfettamente di non essere tollerati dai "liberati", perché occupavano con le armi - e quindi con prepotenza - luoghi dove non sono benvenuti e ora li hanno uccisi in un'azione di guerra, non di terrorismo, quella guerra che hanno portato loro; noi glielo avevamo detto: noi siamo sempre stati contro la guerra, fin da quella nei Balcani (Do you remember D'Alema?) e rivendichiamo il diritto di dire: "Ve lo avevamo detto e lo avevamo urlato in tanti".
Ora sono cazzi vostri!
Sono quelli che hanno torturato a Bolzaneto solo due anni fa, che fanno riferimento ai più trucidi canti e vecchi arnesi fascisti. E il "loro" camerata Scieri ucciso dal cameratismo stesso? e lo zibaldone del generale Celentano? e gli elettrodi alle palle dei somali... e Omar Mukhtiar? e tutti i crimini perpetrati nei balcani e nel Corno d'Africa? e l'iprite?
E la protervia e l'arroganza dell'amico americano, che si permette di insultare senza contraddittorio e, ovviamente, senza sapere minimamente di cosa parla?
Noi in quella sala di cinema non avevamo nulla da spartire con tutto ciò. Solo da vergognarci di essere italiani.
Ma l'arroganza è contagiosa e l'elmetto viene indossato anche e soprattutto da chi non conta un cazzo (ricordate Der letzte Mann?); il festival si inaugura ufficialmente alle ore 20 e gli accrediti si ritirano a circa un chilometro dalle sale, trascinandosi in mezzo a orrendi lezzi mefitici di fast food interni al centro commerciale che aveva fagocitato il festival l'anno scorso e ora gli sta mangiando anche l'anima (ma Fassbinder non lo hanno mai visto strafogarsi di quelle porcate, benché pure lui non scherzasse). Arrivati in questo antro dove si elargiscono i pass, mi viene detto che ormai non li distribuiscno più: "solo fino alle 19". Guardo l'ora: sono le 19,30, li osservo: sono in tre che cazzegiano, non gli costa nulla allungare una mano, niente. Inflessibili e con un'arroganza degna di miglior causa, ma simile a quella di chi ha il potere e intende esercitarlo, con sgarbo e malanimo si ribadisce che non intendono fare alcun favore. Mi altero leggermente facendo notare che non era scritto da nessun a parte: mi viene indicato con l'indice sdegnoso il cartello scritto a mano che campeggia sul loro bancone. Ecco la prova! Avrei dovuto essere informato con la mia vista a raggi X (sono o non sono un cinefilo?) direttamente da casa. E a me andava ancora bene, perché abito a Torino, ma uno che arriva da fuori, magari con orari ferroviari che non collimano con i porci comodi di queste signorine selezionate perlopiù per gradi di parentela, si fotteva e sganciava prezzi esosi.
Comunque anch'io, causa passaggi in auto altrui, sono costretto a estrarre 5 euro per vedere una delle peggio cazzate dela storia del cinema da quando esistono le pitture rupestri: IL EST PLUS FACILE POUR UN CHAMEAU..., forse era meglio se andavo a dormire di fronte a Sokurov.
La tuta ha cominciato a tentare di farsi esplodere fin dalle dimostrazioni patriottarde di questi pseudo sinistrorsi chic che hanno preceduto il film (senza però l'effetto straniante della pubblicità a sovrastare il minuto di silenzio già messo alla berlina dall afiglia di Makhmalbaf), ma poi non ha mai smesso di irritarsi procedendo nella visione di quello che la ragazza di buona famiglia era riuscita a collazionare: un'imbarazzante sequela di suoi ricordi personali (ancora più imbarazzanti proprio per questo), di "povera" borghese condannata a essere ricca con tutti i birignao tipici.
Ya Basta! non ne possiamo più di riccastri che avrebbero tanto voluto essere poveri o che ci raccontano delle loro velleità rivoluzionarie: dopo Bertolucci e Bellocchio, pure la Bruni Tedeschi: questo è davvero troppo ed è la dimostrazione che questo festival è alla frutta se inaugura con queste stupidaggini.
Cazzo, avrei dovuto ringraziarla all'uscita per avermi fatto capire quanto sono fortunato di essere figlio di operai; peccato che riesca a sconciare tutte le situazioni con recitazione smozzicata come al solito, canti rivoluzionari fin dall'inizio storpiati e il povero Anglade costretto a fare la macchietta del proletario che Mimmo lì a fianco avrebbe dovuto mollarle uno schiaffone molto working class per averlo ritratto in quel modo, affascinante solo per la sua condizione esotica, ma così triste... e la madre che sarebbe stata uno stereotipo anche se non lo accentuava in quel modo...? E Herlitzka, già rovinato da Bellocchio, si ripete nel ruolo dell'inespressivo morituro, tanto che si gode a vedere la nostalgia di Calindri-Cynar che sembra un pmostro non solo di bravura ma anche di vitalità, ma anche questo recupero di memoria rimasticato male da miliardi di altri film è francamente un rigurgito da trash di publivori di Giusti invecchiato pure male.
E non ne possiamo più nemmeno delle loro questioni irrisolte con la religione. Ci importa meno di zero che vada più volte a confessare la colpa di essere ricca, se poi si crogiola in quel suo stato mentale disturbato di ricca, lei come la sorella Mastroianni che si precipita al telefono dallo psicanalista ad ogni rivelazione della perfida sorella: se loro non possono accedere al regno dei cieli, devono proprio farlo pesare a noi quaggiù in terra?
Ma quello che è proprio inaccettabile è la danza, non poteva mancare nei ricordi mal organizzati di questa donna incapace di intrattenere qualunque relazione e che si rifugia in sogni rubati a immaginari insopportabilmente risaputi; come le giostre in piazza Vittorio: non riesce nemmeno a restituire vagamente l'atmosfera di carnevale, né come festa che finisce male, né come sghignazzo o tristezza dell'obbligo di divertirsi ... e quanto è più felice la sua amica di classe meno abbiente e soprattutto di fronte all'enigma che arrovella tutta una vita ("Dove andranno a finire i palloni quando vano in cielo?") la tuta ha estratto una cerbottana forandolo. Giustizia proletaria.
Almeno per rispetto degli Inti Illimani poteva risparmiarci il coretto dei rapitori con tutta la famigliola a festeggiare in una cornice che Bertolucci sembra quasi autentico: ma guarda tu che paure le hanno istillato! Ovviamente a causa di quello, e di una sorta di sindrome simbionista, la poverina ora si trova disturbata mentalmente e attirata dai poveri, meglio se di sinistra, tenuti però ad alzarsi per rendere omaggio a truppe d'occupazione sacrificate da "vili attentati" di irriconoscenti liberati.
In compenso l'irriverenza che forse vorrebbe essere dadaista con la bara che non passa dal portellone dell'aereo personale riscatta la banalizzazione involontaria della morte, che non ha proprio nulla a che vedere con il pathos anche esagerato di Chereau.