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Mostra del Cinema di Venezia 2005
Due sguardi dalla spiaggia

Cronache da Global Beach 5 - 6 - 7 settembre

«Ricordate che la merce contraffatta nasconde dietro di sé lavoro minorile irregolare e lavoro di extracomunitari, spesso clandestini» recito a memoria un cartello che accoglie il disorientato turista che da Piazzale Roma lo condurrà al Lido di Venezia. «Come se Armani non lo facesse» penso mentre osservo i vestiti delle grasse signore eleganti di fianco a me che, mischiandosi vistosamente schifate e annoiate alla plebaglia, si appropinquano a chissà quale galà. L'ipocrisia è così palesemente malcelata che la nausea che prende lo stomaco non si può sapere se sia dovuta ai frequenti scossoni del battello o alle menzogne che con sempre più facilità appendono dovunque.
Per saperlo basta approdare al Lido dove, prendendo autobus gremiti di soldatini in giacca e cravatta si raggiunge la spiaggia occupata di Global Beach.

Questo secondo appuntamento, in concomitanza al Festival del Cinema, offre possibilità di campeggio e una vetrina, in questo senso non dissimile da quella del Festival, a culture e politiche differenti a quelle del mainstream.
Per due giovani squattrinati pare una cattedrale nel deserto dell'opulenza.
Anche questo luogo sente, comunque, l'esigenza dei suoi vip. C'è Casarini che dirige un'assemblea sulle azioni ai cantieri del MOSE e Toni Negri più altri filosofi/e o pensatori che discutono intorno al libro da questo appena pubblicato.
Alcol e cibo a prezzi civili.

Un'atmosfera rilassata, accogliente e includente che cozza con quella di qualche chilometro più in là blindata e luccicante. Polizia ovunque, metal detector all'entrata delle sale.
Anche al meno anarchico e amante delle istituzioni viene da chiedersi con quale ragione la gente che va al cinema debba essere così controllata.
Sono un pericolo le persone che amano il cinema?
Il cinema non può limitarsi a essere mera liberazione onirica non può essere costretto a infrangersi con le catene della realtà che legano la creatività artistica a prezzi difficilmente accessibili e a prefabbricati kitsch sorvegliati da pupazzetti in blu. Grandi teleschermi ospitano discussioni a senso unico, dettate dall'alto e per questo completamente sterili.

L'atmosfera qua è quella da cattedrale del consumo che con la pretesa di vendere merce di buona qualità (e se fosse così ogni critica precedente sarebbe da ritenersi trascurabile) propone prodotti mediocremente commerciali.
Possibile che ogni anno non si possa fare a meno di un film sulla boxe, o di uno strappalacrime mucciniano con Margherita Buy.
Con questo non voglio dire che non ci siano note d'interesse, manca invece la libertà fisica, economica e intellettuale di prenderne parte.
Miyazaki e Burton ci incantano solo alla sola vista del prezzo del biglietto (35 euro per farmi perquisire dagli sbirri!); la rassegna sul cinema segreto asiatico manca di informazioni adeguate per due poveri cinefili neofiti (e un poco ignorantelli, ammettiamolo) dapprima sul programma e secondariamente agli sportelli informativi. Non è detto che per fare calcoli al botteghino si debba anche sapere qualcosa di cinema.
La nostra permanenza in quel luogo potrebbe limitarsi all'ambita occupazione della «caccia alla star» per fortuna ancora gratuita.
Ma l'accalcarsi disordinato della folla scalpitante ci riporta istintivamente alla spiaggia di San Niccolò.

L'offerta culturale è diversa (sicuramente di meno valore e meno imponente) e gratuita, dibattiti pubblici ad alzata di mano. Già meglio. Lunedì sera c'è una rappresentazione teatrale Anagramma Via Artom di Gianni Stoppelli sui ghetti metropolitani. La performance, ricordante gli spettacoli di Paolini, racconta i disagi della vita nelle case popolari e di come i ragazzini arrivino a 17 anni a rapinare una gioielleria. Lo spettacolo è commovente e ben costruito, l'attore, però, racconta il tutto preparandosi per un incontro di boxe, (non se ne può più!). A seguire documentari argentini sul movimento dei piqueteros e sulla costruzione dell'autonomia urbana.
Andiamo a dormire e la mattina successiva veniamo svegliati dall'imponente voce di un ragazzo che chiama tutti a raccolta per intraprendere l'azione contro il MOSE. Noi non vi partecipiamo prevalentemente perché non abbiamo avuto il tempo d'informarci e di avere una opinione a riguardo, per fare le pecore potevamo benissimo stare davanti all'Excelsior. Restiamo, comunque, costantemente aggiornati da Radio Sherwood che urla sulla spiaggia.

Durante la giornata un'altra discussione dell'Uninomade, la carovana di pensatori. Il tema verte sull'evoluzione del femminismo dagli anni Settanta a oggi, ma non sempre brillantemente il dialogo va avanti. Nell'atmosfera culturale del luogo dove vi è l'accesso ad internet gratuito e la condivisione di saperi; dove si possono masterizzare e scaricare film, scambiare libri e musica, è futile ribadire il confronto con il concetto di cultura del Festival. Si inserisce perfettamente in questo contesto il progetto del gruppo "Il vangelo II precario", esso è la ricerca di una produzione diversa che riesca a dare al regista e agli attori la possibilità, da un lato di fare un film competitivo in termini di qualità e dall'altro di permettere ai creatori di esprimersi in completa libertà.
La loro "autoproduzione" è sostenuta dalle sottoscrizioni di 10 euro fatte dai visitanti del sito in cambio, a film terminato, avranno diritto a una copia in DVD del film e il loro nome nei titoli di coda.

san PrecarioNel dibattito si rivelano alcuni tratti interessanti del progetto:
- Il film per essere finanziato deve essere qualcosa che interessa veramente le persone, un'esigenza sentita, una spinta che dal basso approvi la proposta;
- Il film è un lavoro collettivo di collaborazione e di libero scambio perché ognuno (sottoscritto o no) possa esprimere il proprio parere, raccontare la propria storia di precario/a;
- Chi materialmente lo gira è investito da una grande responsabilità nel cercare di ospitare le idee di tutti, nell'essere catalizzatore di un sentimento comune.
Un esperimento, questo, che tenta di verificare un modello politico diverso nel fare cinema, in cui anche la distribuzione si baserà sugli stessi principi e sugli sforzi di ognuno nel diffondere il prodotto.
Il tentativo è quello di riuscire a recuperare la funzione sociale del cinema, di renderlo un bene collettivo e di trasformazione. L'unica pecca è che il film è ancora in fase di montaggio e sono visibili (rintracciabili, da chi fosse interessato, nel sito) solo i primi 8 minuti.
I realizzatori, dimostrando di non aver scelto questo metodo di produzione per strumentalizzarlo, ribadiscono che si aspettano un giudizio in senso artistico indipendente dagli strumenti di realizzazione.

Altre autoproduzioni vengono proiettate in quei giorni Il colore del silenzio e Aria.
Al di fuori del laboratorio sulla cultura, anche quello politico e sociale mostra aspetti simili e altrettanto interessanti.
Prima di tutto l'utilizzo della tecnologia come mezzo democratico di lotta, una forte affermazione della necessità che le pratiche di movimento non si limitino a quelle di opinione, ma che si prendano in considerazione anche le pratiche d'azione.
E' stato dimostrato in più di una occasione che l'opinione non produce né conflitti né resistenza.
I movimenti che si limitano a queste pratiche non sono riusciti a fermare la guerra in Iraq e la discussione intorno ai Cpt non ha prodotto nessun risultato interessante.
Allo stesso tempo l'azione, intesa come simbolica se isolata e non comunicativa, è altrettanto inefficace (i cantieri del MOSE il giorno successivo hanno ripreso i lavori) solo inserita in un contesto più ampio nel quale il movimento d'opinione acquisti consapevolezza che c'è anche quella strada da seguire, che non è l'unica ma c'è, e solo l'azione congiunta di questi elementi può raggiungere risultati.

san PrecarioIl dibattito sulle pratiche d'azione da seguire è aperto, in fase di sperimentazione. Ciò che è stato fatto finora è un patrimonio di esperienze che deve necessariamente essere in evoluzione, la strada da percorrere non è tracciata e il rischio di cadere in pratiche rituali e folkloristiche è sempre dietro l'angolo. La consapevolezza di questi limiti è il punto di partenza.
L'esperimento della candidata senza volto alle elezioni primarie è il prodotto più coerente di queste riflessioni, la pratica d'azione deve servire innanzitutto a dar voce a chi non ce l'ha, a dar vita ad una controrealtà che si basi sulla autogestione degli spazi e delle risorse e all'autonomia delle realtà sociali.
In questo senso la dimostrazione e l'azione produce risultati diversamente, intesa come spettacolo mediatico, si rifà alle logiche del potere.
Questo equilibrio è sempre messo pericolosamente in gioco e non ancora nettamente costituito, ma stupisce la consapevolezza di questi limiti. I No Global non si limitano a fare gli spacconi cosa che normalmente si evince anche nelle opinioni delle persone più aperte. Solo in questa prospettiva ha senso l'occupazione di una spiaggia nelle vicinanze del festival.
Uno spazio di discussione aperto a chiunque creda nella resistenza al neoliberismo, in continua costruzione e che sente il bisogno di partecipazione di molteplici realtà per non scadere in meccanismi di ritualizzazione e normalizzazione, uno spazio di tutti che se inutilizzato rischia come molti altri esperimenti di diventare un isola autistica e sterile che solo se partecipata e attraversata può sopravvivere. Una scommessa interessante e pericolosa.

continuerà...

Cristiana Aceto & Luigi Giroldo