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Torino Film Festival 2003

Diario#04: il braccio violento degli animali vincitori

Altra piacevole (ri)scoperta del festival è stata l'opera di William Friedkin.
Praticamente ogni spettatore della manifestazione si è gustato almeno un film del regista americano.
Ero indeciso tra il classico Gene Hackman in The french connection e Al Pacino in Cruising.

 

Torino Film Festival - 2003

Ho optato per la seconda. Storia sordida, feticista, ambigua: Al Pacino è il giovane poliziotto dell'accademia che deve indagare sotto copertura nel mondo dei gay bondage s/m per scoprire un assassino che fa a pezzi le sua vittime. Il film si apre con l'avvertenza di voler rappresentare non la comunità gay in toto, ma soltanto una piccola parte. Bene, anche perché i club che Al frequenta ricordano molto il Blue oyster di Scuola di polizia (o a scelta i film underground di Kenneth Anger): giubbini di pelle, berretti nazi, baffoni, occhiali da sole, jeans con risvolto, cinture e bracciali borchiati, t-shirt tagliate, commistione di punk e funk... beh, escludendo il fist fucking direi che è una classica serata electroclash del 2003!!
Fa un certo effetto vedere Al Pacino così giovane e così gonfio di muscoli: il pubblico in sala a malapena trattiene le risate quando lo si vede ballare come un epilettico con uno dei sospettati mentre i Germs spaccano gli ampli. I club sono praticamente dei bordelli e sembra che Friedkin ci marci sopra parecchio: ogni angolo è alcova, specie per quanto riguarda il parco. Non so però quanto tutto ciò possa essere così esagerato, visto che il film è del 1980 e l'aids non era neanche preventivato. Un film di sguardi: quelli tra il poliziotto nel parco e il presunto assassino al balcone; tra il marito che non riesce a capire e la moglie che non sa; tra il poliziotto e l'amante dell'amico. Il film si chiude in ambiguità, con un gioco di specchi che rimandano sguardi colpevoli e sguardi sorpresi per un assassino ancora libero, parallelo con il film coreano Memorie di un omicidio di cui abbiamo già detto.



Concludo le mie impressioni con un film che mi è piaciuto in un modo che neanche io so spiegarmi; il vincitore di questa edizione del festival: La fine del regno animale di Joel Brisse.
È un classico film da festival e all'uscita dalla sala, la sensazione era che potesse essere uno dei candidati favoriti alla vittoria. La storia è quella di Noel, ambientalista e "puro" nell'accezione dello "scemo del villaggio" che si trova sempre nei paesini della provincia. Ha uno splendido rapporto con la nipotina, mentre è in perenne lotta con tutti gli abitanti, colpevoli di aver aggredito irrimediabilmente la natura. Tutta la chimica che hanno usato ha mutato la fauna della campagna: gli uccellini muoiono, le lepri nascono con due code, le pecore devono essere abbattute («Non è vero che le bestie sono solo bestie. Guarda queste pecore. Non ce n'è una uguale all'altra. Guardale negli occhi. Hai mai sentito l'odore di un agnellino. È lo stesso di un neonato») e tutto il regno animale è reso schiavo o ingabbiato.
In questo scenario si inserisce l'amore per la maestrina interpretata dalla nuova musa del cinema francese, Helene Fillieres (a cui "Les inrockuptibles" dedica tre pagine). Naturalmente non corrisposto, ma con quel senso di tensione erotica che i cugini d'otralpe sono soliti sviluppare.
Sembra che la maggior parte degli spettatori si aspettasse un film più movimentato, decisamente più divertente. Così non è: infatti la pellicola è lunga, si trascina e l'attenzione è sempre in bilico sul versante noia (si è chiaramente sentito il russare di ameno due persone). E pur aspettandoci il finale amarissimo, il film lascia un senso particolare addosso, capiamo in fondo che il rogo di Noel e degli animali domestici è la logica della fine del regno animale.

continua...?

Fulvio Faggiani