Grüninger Falls

Survivors of the Shoa Visual History Foundation

Pamietan/I remember

Algunos que vivieron

Deti iz besdny/Children of the Abyss

Fascist Legacy

Omar Mukhtar. Lion of the Desert

i materiali sono stati approntati e forniti da
Marco Farano, Goethe Institut Torino

Cinema Massimo

Via Verdi 18, Torino

Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti a disposizione

Lunedì 21 gennaio, 21.00

Andrzej Wajda, Pamietan/I Remember (Io ricordo), Polonia/USA 2001. 60 minuti. Versione originale polacca con sottotitoli in italiano.

Il film s�inizia con le immagini di un gruppo di persone in marcia fra Auschwitz e Birkenau. È la "Marcia dei vivi", una cerimonia cui prendono parte giovani provenienti da tutto il mondo ogni 19 di aprile, data d'inizio della rivolta del ghetto di Varsavia, scelta da Israele come giorno in cui celebrare lo yom ha shoah, il giorno del ricordo della catastrofe. Sono i corpi e i volti di questi giovani le immagini che il regista, figlio di un ufficiale di cavalleria polacco ucciso durante la guerra, utilizza per legare assieme le immagini dei quattro sopravvissuti intervistati in Polonia che egli ha scelto per il suo film, rinunciando invece totalmente all'impiego di immagini storiche relative ai fatti narrati, come avviene solitamente in questo genere di lavori. Giovani muti ed assorti, le cui immagini si intercalano nel racconto dei testimoni, con un ritmo che spesso è quello dell'emergere dell'emozione legata al ricordo e che obbliga l'anziano testimone a una pausa, nella quale si inserisce il volto di un giovane cui è idealmente consegnata la memoria. In altre occasioni il montaggio produce invece processi d'identificazione, come nella sequenza in cui Leszek Allerhand racconta candidamente di come, pur nella situazione del ghetto in cui erano appena precipitati, i ragazzi vivessero i primi amori e ricorda i suoi primi baci con Anka, la ragazza di cui si era innamorato. Compare il volto di una giovane, e un attimo dopo il racconto ci informa di come improvvisamente "la mia ragazza" fosse stata impiccata, assieme a tutti gli abitanti della strada in cui abitava.

Andrzej Wajda, Pamietan/I remember 2001

L'esperienza del ghetto è al centro del racconto di altri due sopravvissuti, segnata dall'angosciosa scelta fra rassegnarsi alla fame, alle malattie e alle continue esecuzioni o deportazioni che la vita nel ghetto comportava, oppure rischiare la fuga nella parte "ariana" della città, dove essere scoperti significava la morte. "A volte mi veniva da canticchiare delle canzoni ebree, e potevamo essere scoperti", ricorda Stanilaw Jonas, con tono quasi leggero, ma quando arriva a ricordare di come questo senso di doversi nascondere non lo abbia più abbandonato, di come a volte in America, quando gli chiedono se è ebreo, egli risponda di no, non riesce più a proseguire. La voglia di vivere, di non negarsi il piacere di andare a teatro anche se lungo la via si incontravano i cadaveri, è uno dei tratti della testimonianza di David Efrati, assieme alla sua fuga nel settore ariano, ai suoi rapporti con i conoscenti non ebrei che lo aiutarono a nascondersi, tema quest'ultimo che attraversa l'intero film, presentando sia casi di solidarietà che di indifferenza o ostilità nei confronti dei concittadini ebrei. Henryk Mandelbaum narra infine la sua esperienza come membro di un sonderkommando, squadre di detenuti ebrei che nei campi di sterminio erano temporaneamente addetti al funzionamento delle camere a gas e dei forni crematori.

Il film si chiude con una sequenza, breve ma significativa perché legata a quelle "drammatiche e specifiche relazioni fra ebrei e polacchi" che il regista ha dichiaratamente voluto mettere a fuoco nel film. Accompagnato da un drammatico sottofondo musicale si susseguono il volto di una giovane, su cui vediamo la prima lacrima lasciata libera di scorrere, poi papa Wojtila, inquadrato nello stesso atteggiamento assorto a capo chino dei tanti giovani che lo hanno preceduto sullo schermo, i volti dei quattro testimoni, infine la storica immagine di Wojtila di fronte al Muro del pianto, dove egli si è recato nel marzo del 2000 per chiedere scusa al popolo ebraico delle colpe della Chiesa, uno dei momenti principali di quel processo di "purificazione della memoria" che il papa ha voluto porre al centro del giubileo. È una sequenza importante, perché in Polonia la contrapposizione fra identità ebraica e cattolica ha non solo segnato la Shoah, ma la sua stessa memoria: basti pensare alla lunga ed emblematica vicenda del crocifisso e del convento posti all'interno di Auschwitz, o ancora alla controversa beatificazione di Kolbe, prete cattolico polacco, ferocemente antisemita, ma ucciso anch'egli ad Auschwitz. Questa immagine delle scuse del papa ha quindi per la Polonia un particolare significato, quella riconciliazione rappresentata dall'immagine che la segue immediatamente e con la quale il regista chiude il film: il lungo abbraccio di due giovani partecipanti alla marcia. Valutazione certamente diversa e meno positiva daranno a questo finale ovviamente quanti nel processo di "purificazione della memoria" di Wojtila hanno rilevato troppe ambiguità, come il rifiuto di prendere in considerazione le richieste di chi, da parte ebraica ma non solo, gli chiedeva di non procedere alla beatificazione di Pio IX, Pio XXII o Stepinac. Oppure l'aver istituito una commissione per indagare sulle responsabilità di Pio XII nella Shoah costretta a interrompere i lavori per l'impossibilità di accedere agli archivi del Vaticano.