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Dogville
Anno: 2003
Regista: Lars Von Trier;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: Danimarca;
Data inserimento nel database: 14-11-2003


Documento senza titolo

Amore, follia. Oggettivizzare il cinema di Lars Von Trier e spiegare perché lo si ama è un lavoro tanto curioso quanto inutile: le ragioni addotte saranno le stesse di colui che lo odiano. Come si diceva a proposito di "The Five Obstructions", pochi riescono a spaccare in modo così geometricamente simmetrico pubblico e critica in due. C'è del genio persino in questo.

Da che imbraccia la macchina da presa, Lars Von Trier gioca coi sui personaggi quasi fossero topini da laboratorio. Ma non si è mai fermato a questo, perché fa altrettanto con lo spettatore. Il nostro si diverte a provocare, e gli riesce davvero molto bene...

A Dogville ("la città del cane"... l'unico che forse merita la "grazia"...) arriva Grace. Una donna in fuga. Una donna misteriosa. Un'estranea. Come lo era Selma in Dancer in the Dark. Von Trier prende di nuovo un personaggio "fuori dagli schemi" e lo inserisce in una comunità precostuita e poi si mette alla finestra a guardare. Non gli serve neanche più la scusa scenografica: il mondo è tutto un teatro, contano solo i personaggi che interagiscono tra di loro e esplodono (o implodono?). Ci affacciamo anche noi su questo mondo di formichine, e non è detto che quanto vediamo finirà col piacerci... Selma soccombeva, Grace si prende la rivincita. Tutto è finto a Dogville, appena tratteggiato con una riga di gesso. Tutto si poggia su equilibri delicatissimi, su rabbie sedate negli anni, su falsi predicatori e ipocriti benpensanti. Una donna che potrebbe rappresentare la "grazia" per tutti finisce per diventare il detonatore che manda all'aria il castello... c'è un punto di non ritorno in Dogville, quando capiamo che il destino di tutti quei personaggi è segnato. O forse lo sappiamo dall'inizio perché se c'è un cinema che rifiuta la catarsi è quello di Lars Von Trier.

Non parlateci delle campane. Mentre quelle suonano Lui ride. Lo faceva anche prima. Avete pianto con quelle de Le onde del destino? Beh, avete sbagliato. Lui rideva.
Se c'è una inquadratura che spiega meglio di qualsiasi parola il cinema di Lars Von Trier e' in "The Five Obstructions": il suo primo piano, tra il sadico e il sardonico, quando dice (ordina) all'amico regista di ricominciare tutto da capo.

Non vi commuovete, non è proprio il caso. Lui. ride.
(e, tra parentesi, ride anche di quei minus habens che han preteso una versione riveduta, tagliata e corretta del suo film...)