Os mutantes (I mutanti)
di Teresa Villaverde; sceneggiatura Teresa Villaverde; fotografia Acácio de Almeida; montaggio Andrée Davanture; scenografia Sérgio Costa; costumi Joana Villaverde; suono Vasco Pimentel, Joel Rangon; interpreti Ana Moreira (Andreia), Alexandre Pinto (Pedro), Nelson Varela (Ricardo), Helder Tavares (Franklin), Paulo Pereira (Zezito), Jorge Bruno Gomes (fratello di Pedro), Teresa Rob (madre di Andreia),
Antonio Cerdeira, Isabel Ruth; produttore Jacques Bidou; produzione JBA Production, Mutante Filmes, La Sept Cinéma, Pandora Film; origine Portogallo-Francia, 1998, colore, 35 mm., 115'
Il ritratto delle nuove generazioni è una costante dei film in concorso (vedi Kichiku e Daun atas bantal e Frost). Anche qui emerge un disagio profondo che si traduce in una rappresentazione dolente. I protagonisti di Os mutantes hanno impressa sul volto il dolore della esistenza che conducono. Una vita mutante, raminga, in cui mancano punti di riferimento. Il dolore di queste esistenze in alcuni casi esplode regalandoci dei momenti di indimenticabile tensione, come il parto solitario di Andreia in un bagno pubblico, che viviamo per intero dall'inizio fino quasi alla fine in una lunghissima e interminabile sequenza. Il film alterna dei momenti di calma ad altri estremamente concitati, ma raccogliendo e comunicandoci con incredibile trasparenza e sincerità lo stato d'animo di tutti i personaggi, il terrore delle giornate di queste creature alla mercé di una società degli adulti che sembra fregarsene del loro destino, e preferisce risolvere i loro casi rinchiudendoli a tempo indefinito negli speciali riformatori, fino a quando non diventeranno maggiorenni. Così un ragazzino di nove anni che entri in una di queste case, può rimanerci fino alla maggiore età di diciotto anni, per nove anni dunque, non si sa bene a quale titolo e per quale motivazione. È chiaro che il senso di angoscioso smarrimento non può che aumentare.
L'unica difesa allora è proprio quella di essere mutanti, di fuggire in ogni direzione pur non avendo alcuna idea di una possibile destinazione, la società tanto li ha già condannati, anzi li ha abbandonati cosicché possono fare qualunque fine, il loro destino non importa a nessuno.