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Le Pornographe
Anno: 2001
Regista: Bertrand Bonello;
Autore Recensione: Pamela
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 09-11-2001


Il cinema non ce la fa.

Le rappresentazioni dell’osceno non si adattano al cinema. Per lo meno al "nostro" cinema, il cinema borghese, d’autore (?) o commerciale che sia. La falsa coscienza del sistema rappresentativo che ci mette in scena non riesce a spingersi al di là del buco, di quel baratro che si diffonde tra il cervello/pensiero (alto) e il resto del corpo (osceno). Ogni tentativo di collegamento fallisce, perché non riesce a vedere da vicino. Il porno è il porno ed è il porno. Altro non può essere. Del resto ogni corpo ha il buco del culo. Non si può discorsivizzare il porno e non necessita nemmeno di spiegazioni o tantomeno di giustificazioni. Esiste, è osceno, ne ha coscienza e vuole esserlo. Non ha bisogno di non essere osceno, altrimenti perde, diventa altro, un altro senza direzione. Così come il film di Bonello o il suo precedente Guardami (Ferrario), altro film fallito sul piano delle direzioni.

E’ un po’ come se il cinema borghese "intelligente" e presuntuoso (ossia la totalità del cinema occidentale e, ahimè, anche quello centro-asiatico che, raccolta la lezione neorealista, si sta purtroppo avviluppando su sé stesso..) volesse spiegare questa imbarazzante presenza.

Infatti il cinema si conosce. E’ dotato sicuramente di uno sguardo verso-sé. Ogni film conosce il suo tempo, i suoi tempi. Il cinema-coscienza è una realtà, anche se fatta di ombra. Inevitabilmente porta a sé, si guarda. L’unica azione che ha a disposizione è, come ovvio, lo sguardo. Il cinema guarda e basta. Non uccide, non parla, nemmeno fuma. Sa di cosa è fatto, come è fatto. Ogni film conosce gli altri film, da sempre. Anzi tutti i film sono lo stesso film. Nulla di nuovo qui. Un unico corpo che nasce, cresce, si sviluppa e prima o poi morirà. La coscienza del corpo-cinema, che i registi tentano invano di esplorare, interpretare e spiegare, ne conosce i confini. Sa cosa è mostrabile e cosa non lo è. Forse un corretto approccio al film — come si diceva una volta in lista — potrebbe partire da questo presupposto: il regista/film interpreta la coscienza-cinema svelandocene di volta in volta un pezzo, mostrando una possibilità, un arto del corpo senza materia, in quanto solo ombra. Non è quindi autore, ma oggetto, nel senso che viene a far parte dell’oggetto-corpo-cinema. Perché il cinema (il corpo/ombra-cinema) non si limita ad essere l’insieme dei film, ma arriva a comprendere anche tutto il fuori campo, tutto l’aldiquà della mdp, dal regista all’assistente di Mr Ford. Anche il regista quindi non è che una cellula, con un proprio DNA, dell’organismo. Ecco che all’orizzonte appare allora il vero autore ossia lo spettatore, l’unico in grado di ricostruire il senso della coscienza, dare senso alla visione, alle cose.

Ma torniamo al porno. La coscienza, in quanto invenzione borghese per la regolazione dell’istinto, fa di tutto per nascondere l’osceno, ma non può far finta che non esista. E allora ogni tanto, come nei migliori salotti costanziani, viene fuori. Ma non può venire fuori e basta. No. Bisogna dire che l’osceno in fondo, non è più osceno dell’ipocrisia. Sai che novità. Ciò che ho trovato osceno è proprio questo dover spiegare la componente rivoluzionaria della pornografia, darle una storia e un motivo politico, rimescolando oltretutto con i vissuti personali dei protagonisti che sembrano continuamente dire "la mia vita è segnata da questa oscenità". Per fortuna il porno esiste di per sé e splende senza falsi moralismi, per la sua (nuda) evidenza. Non solo si pone come altro rispetto al cinema borghese — e quindi è di per sé autonomo, quasi anarchico — ma non mostra nemmeno di avere necessità di spiegazioni. Non vuole essere giudicato (è il giudizio infatti che frena l’istinto) e se ne fa un baffo della coscienza superiore. Il cinema invece, non ce la fa, pratica un sesso asettico, senza odori e iper protetto e forse, questo non avrà mai un orgasmo. Buona gang-bang a tutti.