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Luna Rossa
Anno: 2001
Regista: Antonio Capuano;
Autore Recensione: Luca Gennari
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 27-10-2001


LUNA ROSSA

LUNA ROSSA

Antonio Capuano

 

Ossessione per il cerchio: la circolarità della tragedia, l’ineluttabilità del fato, l’eterno ritorno del sangue. Luna rossa: un cerchio di sangue è ciò che imprigiona e imbriglia la spirale di delitti ed efferatezze della famiglia Cammararo. Da marchio di esportazione di un’Italia vincente nel mondo, la barca di Prada finalista dell’America’s Cup, luna rossa diventa provocatoriamente il simbolo inquietante di un destino italiano fatto di sangue e morti ammazzati.

La storia può essere raccontata soltanto nel caso in cui qualcuno decida e abbia la forza di uscire dal cerchio e di spezzarne la logica: è il più giovane del clan a raccontare in flashback la storia della famiglia davanti ad un giudice. E le sue parole aprono e chiudono il film: la camorra rappresenta la modernità della barbarie e la barbarie della modernità. Il suo nome è Oreste e la tragedia greca è la forma del raccontare.

Capuano va dritto al punto: è la struttura chiusa della famiglia e del genos, in cui le colpe dei padri ricadono sui figli e le donne sono spettatrici mute ma protagoniste attive degli intrighi e delle passioni, ad originare il racconto della mafia. La famiglia diventa allora il teatro di ogni abiezione e perversione, di tradimenti, gelosie, omicidi: i padri uccidono i figli e i figli i padri, genitori e figli condividono le stesse e gli stessi amanti. L’incesto è allora la metafora più concreta e il sintomo più evidente di una malattia dei sentimenti che scaturisce dalla prigione della famiglia e che dà luogo a tare ereditarie: Oreste e la sorella si baciano sotto lo sguardo impassibile della madre.

I due membri più giovani diventano ben presto i portatori di una voglia di ribellione e di un’ansia di fuga, ma i loro percorsi sono opposti: la figlia, in un primo momento insofferente nei confronti delle leggi e dei rituali sanguinari della famiglia, diverrà l’amante dell’amante della madre; Oreste, al contrario, che sembrava pronto a raccogliere la sua eredità di boss e capo del clan, uscirà dal cerchio e tornerà come un angelo sterminatore per compiere un atto estremo di purificazione. Lo spazio costruito da Capuano è coerentemente uno spazio chiuso, claustrofobico ed ossessivo, fatto soprattutto di interni: la casa dei Cammararo è una sorta di casa-bunker, protetta da alte mura e da monitor all’entrata. Il nero è il colore dominante di una messa in scena che predilige i colori freddi e acidi, su cui risalta per contrasto il rosso del sangue: la luce che filtra dalle finestre e dalle tende diffonde una luce bianca che ha la stessa freddezza delle luci al neon degli interni o degli schermi televisivi della stanza di Oreste e rischia di essere continuamente inghiottita dalle campiture di nero. Le finestre non sono mai un’apertura verso l’esterno e le corse di Oreste con la moto e della sorella con i cavalli sono soltanto esplorazioni di un mondo che resta piatto e circolare. Lo spazio è incessantemente percorso da una macchina da presa mobile e vibratile, guidata da un montaggio nervoso e sincopato: la narrazione viene costantemente frammentata e ricomposta secondo i ritmi e i tempi di musiche elettroniche o di canzoni napoletane.

In una sequenza onirica che esplicita il debito nei confronti della tragedia greca, Oreste si aggira tra le rovine del tempio di Paestum. Già Ferrara e St. John erano stati piuttosto radicali e altrettanto espliciti nell’indagare i codici di comportamento della mafia secondo i canoni e la struttura delle tragedie di Eschilo e di Sofocle: Fratelli rispettava rigorosamente l’unità di tempo e di luogo e si concludeva con un bagno di sangue purificatore. Ferrara non ha esitato a chiamare la famiglia mafiosa guidata da Christopher Walken con il nome di famiglia Tempio. Spazio e tempo si fondono e partecipano della stessa ineluttabilità, dello stesso movimento di caduta: il tempo è il tempio. È dunque necessario un gesto estremo di rottura per uscire dal cerchio della tragedia: nella scena finale Oreste, dopo aver sterminato il resto del clan, si trova di fronte alla madre che cerca di salvarsi con il gesto tragico della madre che si offre al figlio-Edipo. Ma Oreste spara e spezza la spirale del sangue, uscendo dalla tragedia ed entrando nella cronaca, di fronte ad un giudice.

Ma là dove Ferrara era interessato a scrutare la teologia mafiosa e la morale ‘spostata’del clan Tempio, Capuano sembra portare l’Olimpo sulla terra, compiendo un’operazione piuttosto diversa: i suoi personaggi non conoscono dilemmi morali, non sembrano sentire il peso di decidere la vita e la morte, essi obbediscono soltanto alla logica del potere e della morte e agiscono come marionette mosse da un ingranaggio che sembra non dovere e non potere fermarsi mai.