NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


The Others
Anno: 2001
Regista: Alejandro Amenábar;
Autore Recensione: Luca Bandirali
Provenienza: Francia; spagna; USA;
Data inserimento nel database: 30-09-2001


Un regista spagnolo racconta la storia di una donna come se Almodòvar e Carlos Saura non fossero mai esistiti (eventualità tut

Un regista spagnolo racconta la storia di una donna come se Almodòvar e Carlos Saura non fossero mai esistiti (eventualità tutto sommato non troppo grave). La donna si chiama Grace, ha il volto di Nicole Kidman e fa pensare alle figure femminili del cinema di Hitchcock; senza nostalgia patinata, però: The Others è senza dubbio, insieme a Le verità nascoste e The gift, il presente del cinema sotto forma di thriller metafisico. Il racconto è costruito nella più stretta osservanza delle regole del suspense, in una declinazione appena più elegante della classica ghost-story, nel sottogenere della casa infestata. E’ un meccanismo narrativo così noto che il film può permettersi di rovesciarne esattamente lo schema sotto gli occhi dello spettatore, senza che questi se ne avveda; lo scioglimento strappa l’applauso e in più non costringe, come Il sesto senso, a ripensare alla luce dell’ultimo colpo di scena quel che si è visto per due ore – il cinema è di per sé una “seconda volta”, e a giocare con la memoria ci si stanca.

   Capirà il lettore che sulle vicende narrate è meglio tacere, o al limite anticipare appena gli elementi in campo, che sono: la madre di due bambini fotosensibili, una casa tetra avvolta dalla nebbia, tre servitori che vi giungono per offrire “aiuto”, e un contorno di strane presenze avvertite in forma di voci, rumori, spostamenti. Quella che andiamo a rivelare, piuttosto, è la natura di un film le cui immagini la forza di condurre l’intreccio, anziché farsi condurre da esso. Ci sono personaggi notevolissimi (serviti da splendidi attori), in The Others, e si percepisce l’eco distinta del cinema che più amiamo, da La donna che visse due volte a Shining, passando per La camera verde e il Frears di Mary Reilly; ma quel che permette di distinguere un film concepito in forma di semplice omaggio, con tanto di strizzatina d’occhio al cinefilo, da un’opera dotata di un valore autonomo rispetto ai tempi e ai modelli, è l’impiego sistematico dei mezzi che adotta: e in The Others si ha sempre la misura del contributo unanime e costante degli elementi in uso, che vengono fatti interagire ad arte non banalmente per confondere, ma per invitare a guardare il mondo dietro il mondo.

   Il procedimento non è estraneo a quello che conosciamo nel sogno: notava Coleridge (che deve aver sognato tanto) come le immagini che ci si presentano in sogno altro non siano se non la rappresentazione delle impressioni che riteniamo provochino; il rapporto di causalità è pertanto invertito rispetto a quel che crediamo, come ha ben spiegato Borges (altro sognatore) con l’aforisma: “Non sentiamo orrore perché ci opprime una sfinge, sogniamo una sfinge per spiegare l’orrore che sentiamo”. Le ombre immense che si riversano nelle stanze di Grace sono la causa di un’atmosfera greve di angosce – o ne sono l’effetto, il prodotto visibile? Ad Alejandro Amenabar, regista di indubbio talento, riesce di edificare un sistema complesso a partire da un principio semplice, lavorando, piuttosto che nell’ottica dell’accumulo e dello spreco (come il Craven di Scream), in quella dell’economia narrativa e del dettaglio.

   In un sistema siffatto si fanno notare non solo i movimenti di macchina (meravigliosa la panoramica orizzontale sulla Kidman, che la macchina da presa lascia andare avanti per poi raggiungerla un attimo prima dello stacco) ma anche i punti di vista, gli oggetti, gli spazi. Spiace che un Festival rispettato (per quanto ancora?) come quello di Venezia abbia preferito le chincaglierie indiane o il piagnisteo nazionale ai fantasmi di Alejandro Amenabar, uno spagnolo che innesta su solide geometrie narrative una vasta cultura visiva al cui centro riconosciamo la lezione luminosa di Barry Lyndon.