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The Others
Anno: 2001
Regista: Alejandro Amenábar;
Autore Recensione: Marcello Testi
Provenienza: Francia; spagna; USA;
Data inserimento nel database: 29-09-2001


The others

THE OTHERS
Regia: Alejandro Amenábar 
Sceneggiatura: Alejandro Amenábar
Cast: Nicole Kidman, Fionnula Flanagan, Christopher Eccleston, Elaine Cassidy, Eric Sykes, Alakina Mann, James Bentley, Renée Asherson, Gordon Reid, Keith Allen, Michelle Fairley, Alexander Vince, Ricardo López, Aldo Grilo 
Durata: 101'
Provenienza: Francia / Spagna / USA
Lingua: Inglese

The Others potrebbe avere avuto una buona accoglienza presso di noi, in esso si percepiscono certo delle qualità, principalmente nell'adesione a un genere e nello svolgimento diligente ma non pedante di un "tema".

Purtroppo ci sono balzati all'occhio prevalentemente i difetti. Peccato.

Innanzitutto, il film è, come impone giustamente il genere, basato su pochi assunti basilari, idee messe in bella mostra che costituiscono il telaio della rappresentazione. Prima di tutto, un gioco di suspense con stilemi narrativi ottocenteschi e la costante incombenza del soprannaturale. E qui già qualcosa s'inceppa; non sappiamo se l'intenzione fosse quella di far esplodere la struttura per saturazione iconografica e di citazioni. L'effetto ottenuto è però opposto, con il gioco che si sgonfia, perdendo d'interesse, più o meno a metà film. In un certo senso, da quel punto il film è più libero, ma anche meno rigoroso, impegnato a tenere viva una tensione che si va perdendo, man mano che si delineano i tasselli del mosaico. Forse Amenábar (anche scrittore) fa eccessivo appello, con citazioni ed astuzia dell'occhio, all'intelligenza dello spettatore e alla fine questi è forse troppo presto appagato e in posizione privilegiata rispetto al regista e alla sua storia.
Insomma, il film è troppo "narrativo" per potersi permettere, con netto anticipo, disvelamenti, epifanie. Anche la filosofia che soggiace al meccanismo (il ribaltamento del concetto di "altri") è infine troppo esplicita e finisce per deludere con la banalità dell'enunciazione (ma oggi sospendiamo questo appunto perché di chi mette in crisi il "noi" e l'"alterità" c'è adesso un bisogno disperato).

L'altro pilastro è la clamorosa citazione hitchcockiana, doppia provocazione presuntuosa di regista ed interprete: la Kidman ricalca il look, il nome e forse qualcosa di più della Grace Kelly vista in Rear Window e Dial M for Murder. Non è sicuramente il caso di giudicare moralmente un approccio siffatto e la presunzione può essere talvolta un attributo positivo ed emotivamente scatenante; non ci interessa (né, forse, sarebbe il caso) dileggiare un accostamento che può avere le sue ragioni, ma che sono totalmente extra-testuali.
No, quello che è importante è che l'occhio ben presto neutralizza questo cortocircuito: un azzardo iconografico o viene portato all'estremo con un escalation distruttiva, oppure è destinato a "spalmarsi" sulla durata, a perdersi nel tempo filmico e nella dominanza del personaggio sull'interprete, che così risulta ingiustamente ridimensionata da questo gioco, sicuramente evitabile.

Resta l'"hitchcockismo" di Amenábar, perfino apprezzabile, come dicevamo, nella sua interpretazione di un "tema", a cui vengono applicate assai poche variazioni. Resta un piacere sadico nell'osservazione del dissolvimento di una morale bigotta (argomento adattissimo al kammerspiel/hausspiel). Restano gli interessanti giochi ottici che un microverso di luci ed ombre, porte, corridoi e ampie scale offre, un gusto compositivo non indifferente e non immune da contaminazioni pittoriche e non, come testimoniato dalle foto di questa pagina. Resta, insomma, un po' di rimpianto per ciò che avrebbe fatto di questo un buon film. Peccato.