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Genealogia di un crimine - Généalogies d'un crime
Anno: 1997
Regista: Raúl Ruiz;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: Francia;
Data inserimento nel database: 02-03-1998


"(De)costruzione di un crimine" C'è qualcosa da scoprire nell'ultimo film di Raul Ruiz? Forse sì, forse no... Il grande apolide cileno giuoca, come in passato, a costruire sequenze filmiche gradatamente più complesse. Il bizzarro espediente degli incastri, oggetti di senso, che compongono il puzzle della storia, la storia di un crimine, che diventa la Storia del Crimine. Come nella scacchiera orientale che si vede fin dal prologo e si affolla di nuovi pezzi, ingranaggi che si dispongono nelle caselle. Eppure se da un lato il gioco esplicito è di (ri)costruire una vicenda, dall'altro c'è il decostruzionista Ruiz, derridianamente impegnato a sgretolare teorie psicanalitiche. È curioso che - lacaniamente - il meccanismo degli specchi, del doppio, dello sdoppiamento di un'icona (eccellente il suggerimento dell'iconografia pittorica che si sdoppia, abbandona l'immobilità delle tele - numerose della casa - per diventare tableaux vivant) serva forse soltanto alla costruzione filmica. Lo sdoppiamento, il sé che non muore, come fantasma resuscita, si incarna (la Deneuve è la reincarnazione di Jeannne), secondo quanto suggerisce la favola all'inizio e alla fine del film, vive di una sua vita autonoma, ritorna per vendicarsi. E poi le storie dell'altro psicanalista, nevrotico: le storie possiedono gli uomini, le storie diventano e fanno la Storia dell'Uomo. Con sgangherata ironia, con sardonico sarcasmo la Psicoanalisi si arrende all'ambiguità multiforme della vita (che è vita dei sogni, della realtà, della mente ecc.), soccombe alle sue stesse teorie, inutili, fuorvianti, arbitrarie e a nulla vale il sacrificio finale di Piccoli (che è praticamente cieco, l'immagine dei pazienti, di qualsiasi interlocutore si condensa solo nel libretto di appunti che porta sempre con sé) e della società di Psicanalisi. Gesto disperato, risolutore di Niente, suicidio collettivo privo di intensità drammatica, svuotato di senso nella sua messa in scena (i testimoni continuano tranquillamente a parlare ai cellulari). È la Morte che diventa morte, episodio insignificante, irrilevante: la Deneuve passa quasi disinteressata davanti ai cadaveri del figlio (che muore davanti alla pagina del libro, rivelatrice della storia o della Storia), della madre, del giudice, di fronte alla stessa iconografia mortuaria (si tratta in tutti i casi dell'identico ambiente: una stanzetta misconosciuta, ambiente altro, kubrickianamente fuori dal Tempo e dallo Spazio). Ruiz (ri)maneggia apparentemente senza sforzo tutto questo materiale, come dicevamo, decostruendo, scomponendo i pezzi del mosaico attraverso un montaggio nervoso, badando allo stesso tempo a non (far) perdere i fili della storia, forse esagerando in questo intercalare vagamente didascalico che si serve della voce off e del recupero-ripetizione (a mo' di rafforzamento del ricordo nello spettatore) di alcuni frame. Sarà colpa della grande distribuzione?