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Dancer in the dark
Anno: 2000
Regista: Lars Von Trier;
Autore Recensione: Federica Arnolfo
Provenienza: Germany; USA; Netherlands; UK; Denmark; France; Sweden; Finland; Iceland; Norway;
Data inserimento nel database: 18-10-2000


Dancer in the dark
Di Lars Von Trier

Lars Von Trier persegue da sempre, sin dal suo esordio, un'idea personalissima di cinema. Un'idea totale e totalizzante, al servizio della quale mettere, senza compromessi, ogni singolo aspetto del processo filmico, dal mezzo cinematografico stretto, al soggetto, alla sceneggiatura, alla direzione degli attori.
Una vera e propria ossessione dunque, perseguita con cura maniacale, con occhio attento, con precisione millimetrica. Sembra quasi di avere a che fare col lavoro di un entomologo più che con l'opera di un regista cinematografico. Di qui le continue accuse di freddezza e cerebralismo che, si badi bene: sono giuste. Salvo che la freddezza, il cerebralismo, lo studio quasi da laboratorio sono il punto di forza del cinema di Lars Von Trier.
Von Trier non è un regista dell'emozione o della commozione, sebbene ad un primo livello di lettura molti suoi film possono sembrare commoventi. O meglio, è un regista capace di suscitare emozioni che non riguardano la sfera dei sentimenti umani, bensì l'intelletto.

Nel suo ultimo film Palma d'oro allo scorso Festival di Cannes, Dancer in the Dark, il regista danese riesce lì dove in "Breaking the Waves" non era riuscito completamente: mettere al servizio della sua idea un genere cinematografico, svuotandolo completamente in un modo finora riuscito solo a Stanley Kubrick. Un musical tinto di nero (il titolo allude non solo alla incipiente cecità della protagonista, dunque, e l'incipit è in questo senso memorabile: alcuni minuti di schermo completamente buio accompagnati solo dalla musica) dove i brani musicali fanno da contrappunto ad un vero e proprio dramma umano, splendidamente interpretato da attori (o non attori come Bjork) quasi difficili da riconoscere, tanto essi stati sono stati "ripensati" (si pensi solo al dolcissimo Peter Stormare).
Eppure non vi fidate di chi vi dice che ha pianto calde lacrime, perché questo qualcuno si è fermato solo al primo livello di lettura. Il regista ci ammonisce in continuazione a straniarci dalla materia, inserendo, nei momenti di più forte tensione drammatica, un balletto allegro e giocoso, quasi a ricordarci sempre e comunque che di finzione si tratta, nonostante tutto. O meglio - di esperimento, di studio di un tipo umano, quello che da sempre interessa a Von Trier: l'ossesso. Colui cioè che è disposto a sacrificare tutto e tutti nel conseguimento di un obiettivo. E - salvo alcune significative eccezioni come il dottor Bondo di "The Kingdom" - in genere questo tipo umano è una donna. Dalla protagonista di "Europa" alla Karen di "Idioti", passando per Medea e la Bess di "Breaking the waves", il cinema di Von Trier pullula di donne che sono allo stesso tempo sante e maledette, puttane e martiri. Chi continua a chiedersi come mai Von Trier finora non si sia mai voluto confrontare con il suo maestro dichiarato portando sullo schermo Giovanna d'Arco evidentemente non si è reso conto che il regista danese praticamente non sta facendo altro, sin dal suo primo film.