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Keep Cool - You Hua Hao Hao Shuo
Anno: 1997
Regista: Zhang Yimou;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: Cina; Hong Kong;
Data inserimento nel database: 24-02-1998


L'iconografia impone la tipologia del cinese medio come un uomo tranquillo (cool), filosoficamente distante da qualsiasi episodio d'iracondia. Invece sembrerebbe che Yimou sia convinto del contrario: la brutalità si annida in ogni aspetto, anche nella dimessa figura dell'intellettuale non più giovane, che tenta di comporre un dissidio i cui tratti sembrano provenire dalla peggiore barbarie. Gli elementi di contrasto sono sparsi lungo tutto il film: dalle magliette, con su scritti due aggettivi in opposizione tra loro (ma impressi con lo stesso colore, come a voler omologare, appiattendo e normalizzando tutti i contrasti), alle riprese, che devono instillare l'impressione che anche formalmente siamo di fronte ad un cambiamento radicale, però l'epilogo scivola nell'omologazione di tutti gli aspetti e quasi si direbbe che persino la rigidità confuciana partecipi della confusione (apparente) della "nuova" Cina; un Paese, che, nonostante l'occidentalizzazione "incarnata" dalla splendida e volubile ragazza fonte di tutti i guai, non muta i propri rapporti interni.

Dirompente è la scelta di filmare senza seguire alcuna regola. E Yimou fa diventare una norma la girandola in stile hongkonghese, che supera lo stile di Wong Kar Wei per approdare alla vertigine della macchina da presa sempre in movimento su volti in grandangolo ripresi quasi in macro, quasi animaleschi. Sicuramente maschere: la balbuzie del giovane innamorato, i vestiti ancor prima dei modi da mafioso del manager, gli occhialini, alla fine rotti, dell'informatico sono tutti elementi stereotipati di una società imperdonabile, frenetica e schiava di leggi assurde o di accordi stipulati sul filo della mannaia incombente sui piedini di maiale allo spiedo, ma simboleggiano anche l'impossibilità di abbandonare la tradizione dei potenti.

La modernità dunque trova sfogo in un ambito governato da antiche regole quasi incomprensibili, persino quando si esprimono attraverso le massime da cioccolatino sciorinate dall'intellettuale, che poi sarà l'unico a scatenare la furia incontrollabile, che deborda da quelle inquadrature che riescono a mostrare meglio il fuori campo rispetto a quegli oggetti ipercinetici che scorrono dentro lo schermo, schizzando in ogni direzione a seguito della spinta centrifuga impressa dal montaggio. Il filosofo che usa l'informatica, colui che organizza come i vecchi mandarini l'incontro per dirimere la questione che contrappone i due giovani, sarà quello che posto di fronte all'ennesima sfida, esasperato dalla situazione e dalle sevizie subite nell'antro oscuro delle passioni profonde del popolo cinese, dimostrerà quanto poco valore abbiano le rigide norme confuciane a fronte della prassi di una società affatto diversa, zeppa di telefonini, eppure per certi versi ingessata dalla tradizione.

Tutto scorre lungo l'intera pellicola seguendo sensazioni coerenti pure quando evidenzia le contrapposizioni marcate alla maniera cinese e quindi non in modo palese, ma sfruttando allusioni oblique, oppure con espedienti formali che mettono in rilievo il contrasto della loro fattura con gli assunti che comunicano e che attraverso questa prassi vengono messi in discussione. Fino alla rivelazione finale della brutalità connaturata persino nel diritto, una denuncia valida anche universalmente, ma che le autorità cinesi è facile immaginare abbiano preteso venisse annacquata dalla lettera letta al termine della breve detenzione (tutta l'opera si regge su un canovaccio d'impianto comico) del feritore (dove il rilascio sembra inscenato apposta per rappresentare la benevolenza delle istituzioni, che non reprimono, ma ammoniscono dell'opportunità dell'uso delle leggi): insomma l'ennesimo caso di Caligarismo, per cui si stravolge il senso di un film, giustapponendogli un finale che dia ragione all'autorità, allontanando i sospetti di aver gridato: "La Legge è nuda", come il Re.

C'è un'altra spiegazione: Yimou avverte il pericolo dell'accelerazione nel processo di modernizzazione, ma al contempo intravede qualche spiraglio attraverso gesti eclatanti per poter pilotare la comunità cinese verso una convivenza più civile, mescolando il meglio dell'apporto delle singole classi, dove la sanguigna mannaia del giovane viene brandita senza remore solo dall'intellettuale, che, con la scelta di cambiare itinerario per andare a casa del giovane all'uscita dal carcere, probabilmente è stato a sua volta arricchito dall'esperienza. Insomma il regista potrebbe semplicemente e con divertimento aver voluto spingere i suoi connazionali ad approfondire le reciproche conoscenze. In questo caso l'uso di quella tecnica di ripresa e montaggio troverebbe un significato nel bisogno di far emergere una società non visibile perché ancora inesistente e frammentata e che deve comprendere le istanze che provengono anche da Hong Kong.