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Gladiator - Il gladiatore
Anno: 2000
Regista: Ridley Scott;
Autore Recensione: Luca Bandirali
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 01-06-2000


Girato fra Marocco, Malta e Inghilterra, <Il gladiatore>  un kolossal da cento milioni di dollari nel quale la tecnologia del cinema affina il sistema di interazione fra immagini fotografiche e digitali;  altres“ un film storico che nella ricostruzione

Girato fra Marocco, Malta e Inghilterra, Il gladiatore è un kolossal da cento milioni di dollari nel quale la tecnologia del cinema affina il sistema di interazione fra immagini fotografiche e digitali; è altresì un film storico che nella ricostruzione delle macchine da guerra allude alla propria natura di macchina (come il Giovanna dâArco di Besson); è infine un metatesto che contiene rimandi di vario genere, al kubrickiano Spartacus in primo luogo, allâepica di Spielberg (soprattutto Ryan) in secondo luogo. In questo senso, se si volessero indicare i due momenti che in questi ultimi anni hanno rifondato lâepica cinematografica, accompagnando ad un progetto formale superbo un analogo progetto ideologico, non avremmo dubbi: lo sbarco di Omaha Beach in Salvate il soldato Ryan e la battaglia fra Romani e Germani ne Il gladiatore. Si tratta con ogni evidenza di due frammenti autonomi che, invece di anticipare, quasi esauriscono la sostanza del film: dopo il movimento delle masse verso la morte, non ci si riconcilia facilmente con lâindividuo in quiete; dopo lâurlo disarticolato degli uomini in lotta, si fatica ad ascoltare la parola; dopo un cinema di totali, ci si ritrova troppo stretti in un cinema di primi piani.

La sceneggiatura di Franzoni, Logan e Nicholson si sofferma sulle vicissitudini di una discendenza regale, quella di Marco Aurelio, inquieta e vendicativa; la scelta di mettere a fuoco lâintrigo che unisce Commodo alla sorella Lucilla, fino ad includere Massimo "il gladiatore", lâeroe senza macchia che perde lâonore, la famiglia, la vita per essere stato fedele allâimperatore, è una scelta che avrebbe pagato di più se accompagnata da unâopzione formale differente. A proposito di struttura narrativa troviamo appropriato il richiamo del "nostro" Andrea Caramanna alle tesi di Ejzenstejn sui caratteri oppositivi, riconoscendo nel conflitto tra il virtuoso Massimo e il lascivo Commodo una figura tipica del racconto cinematografico; ci sembra però che nel ricorrere dei primi piani ci sia la volontà di escludere lo spazio della corte, o di tenerlo nellâombra come vuole il luogo comune, e mentre certi passaggi narrativi risultano troppo "di genere", eccezionalmente dannoso è il ricorso ad una parola teatrale col compito di far procedere lâazione, una parola dalla funzione orientante e dal suono enfatico che nuoce al film ogniqualvolta si sovrappone allâimmagine. Per il resto, Ridley Scott gira della "fantascienza" di buona fattura, soffermandosi sui modellini in scala e recuperando mordente nelle sequenze dei combattimenti; Russell Crowe conferma dâessere un attore di grande carisma e abilità, costruendo una performance misurata nei gesti eppure intensa: potrebbe diventare quel divo "di sostanza" che fu Kirk Douglas.

Resta da chiarire in quali termini si possa definire lâimportanza relativa del film, il suo essere "necessario" in quanto esperienza estetica. Facendo uso dei più diversi strumenti dâanalisi, si sarebbe tentati di isolare lâincipit "perfetto" de Il gladiatore, per considerarlo come un episodio a sé stante e autoconclusivo a partire dalle intenzioni di Ridley Scott, che sostiene dâaver avuto in mente una sequenza dâapertura lunga non più di cinque minuti, e di aver poi optato per un blocco più articolato (di dodici minuti complessivi). Una mano in dettaglio che sfiora le spighe di un campo di grano, il primo piano dellâeroe e lâoggetto del suo sguardo (il volo di un uccello) sono il prologo al teatro della violenza (e della morte): poi un dolly a salire sulle trincee della battaglia conduce lo spettatore a prendere posto in quel teatro smisurato, nel veicolo come nel programma. Il montaggio alternato, nelle fasi della lotta, dellâazione di Massimo e del fidatissimo cane-lupo stabiliscono unâanalogia che colpisce nellâimmediato e allo stesso tempo crea un simbolo ricorrente (il figlio di Massimo che "vuol essere un cavallo", le tigri e gli uomini nellâarena, il serpente nel racconto di Commodo al giovane Lucio Vero e quello sul tavolo dei gladiatori); le immagini ora velocizzate ora rallentate ad arte dal trattamento digitale sfigurano i corpi e i volti, e proprio come in Ryan lo zoom da lunghissima distanza genera un effetto di sospensione della realtà, mentre la materia viva della scena (il sangue, il fuoco, il sudore) fluisce liberamente sino ad inondare lo schermo: e lo schizzo di fango che per un istante si vede colpire la macchina da presa ci riporta ancora ad Omaha Beach.

Nel potere di dilatare lo spazio (si veda lâinquadratura esemplare dellâaccampamento con la spettacolare fuga di tende), e di sublimare nella rappresentazione lâistinto più feroce dellâuomo (del 180 come del 2000 d.C.), nel dare alla morte un palcoscenico imponente Il gladiatore è film, appunto, "necessario". Nella messa in scena dellâintrigo, allâinverso, Il gladiatore si scopre film imperfetto, umano e dunque accessorio; con altra forza un grande americano, Don DeLillo, ha scritto: "Tutti gli intrighi tendono alla morte. Eâ la loro natura. Intrighi politici, terroristici, amorosi, narrativi, intrighi dei giochi infantili. Ogni volta che intrighiamo ci accostiamo alla morte".