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Fratelli - The funeral Anno: 1996 Regista: Abel Ferrara; Autore Recensione: l.a. Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 22-02-1998
The Funeral (Fratelli), di Abel Ferrara. Script, N.
St. John. Con C. Penn, C. Walken, V. Gallo, A. Sciorra, B. Del Toro,
I. Rossellini. Usa, 1996.
Tormento, lacerazione, problematiche esistenziali-religiose: che
abbiano calcato sulla testa un cappello di feltro o un berretto da
baseball degli Yankees, che indossino completi rigorosamente scuri o
giubbotti di pelle su t-shirts sformate, che vivano nel 1936 o negli
anni '80/'90, i personaggi di Ferrara presentano sempre queste
caratteristiche interiori. Figure travagliate che vivono in prima
persona dicotomie nette, dualismi estremi, radicali; che rispecchiano
ingigantite, interiorizzate, le problematiche del mondo-fogna in cui
si trovano immersi, in cui in un modo o nell'altro cercano di
navigare. Autobiografismo o meno (Abel-e con una
biffa-carta-topografica di eccessi e stravizi degna del più
maledetto dei maledetti: bohemienne cronico tra droga ed alcool, arte
e vita), Ferrara ha dato corpo ad una galleria di ritratti costruiti
rigorosamente sulle ombre, mai sulla luce. Nel mondo di Ferrara
dominano i notturni: specchi di anime inquiete, in cui la luce
è perlopiù un pallido riflesso, un punt(in)o di fuga
distante... anzi, è ancora più spesso Luce Artificiale,
falsa, finta, frutto di un'illusione voluta, allucinatoria. Talvolta
è un bagliore terminale e terminatore: rivelazione che
annienta, follia che si brucia in una fiammata, colpo di pistola mai
totalmente indesiderato - quando non voluto. Tragicità del
vivere un'esistenza dannata su cui incombe sempre l'ombra di un
peccato originale - scelto o subito, poco importa - reiterato nel
presente, attualizzato quotidianamente in ogni gesto, come una
condanna senza possibilità di appello: i personaggi di Ferrara
non vivono, sopravvivono. O meglio: cercano di sopravvivere, a se
stessi e alle inquietudini che li attraversano a corrente alternata
fino a condurli oltre il limite, al punto di rottura, al
cortocircuito finale. Le case, i vicoli, le strade, i quartieri, le
città... il mondo di Abel è il mondo di Caino: i deboli
(che non conoscono le regole del gioco, o che non vi si adattano)
perdono, i forti (i bari di professione) vincono - ma vorrebbero
perdere anch'essi: perché essere forti (senza rimorsi
né ripensamenti) è una condanna. "I demoni soffrono
all'Inferno". E non c'è scampo. Da qui nasce l'arrovellarsi
continuo, estenuante, il girare in tondo, a vuoto, su se stessi o
attorno ad una bara - chiedendosi sotto sotto perché dentro la
bara non ci siano loro stessi, quelli costretti a
vivere. Il cinema di Ferrara è il cinema dei circoli
viziosi (in tutti i sensi), dei cerchi chiusi: regole imposte,
codificate, riconosciute (non necessariamente giuste) ordinano
comportamenti e vite pre-stabilite in cui si rimane intrappolati,
incarcerati; e non resta altro che continuare a commettere lo stesso
errore, gli stessi errori - le colpe dei padri ricadono sui figli, e
via così, senza soluzione. Vendetta porta a vendetta, morte
chiama morte: con gli innocenti del caso, se ancora ce ne sono. Non
c'è alcuna prospettiva di serenità: solo anelito ad
essa. Gangster, mafiosi, cattivi tenenti di polizia, vampiri: eroi
negativi che denunciano la morte di qualsiasi tipo di sogno americano
ed il trionfo dell'abitudine alla menzogna, la dipendenza dalla
falsificazione sotto qualsiasi forma e formula - the
addiction, la dipendenza. Sull'altro lato, ci sono i bollati, gli
sconfitti, i pre-destinati, le vittime: che per reagire devono cadere
nella stessa trappola, scendere allo stesso sotto-livello, bruciarsi
con le medesime fiamme (angeli della vendetta sterminatori). Senza
via di scampo. Sbaglio/pecco, dunque sono. Il senso di
ineluttabilità implicito nei noir classici si rivela, cresce,
si riversa negli animi dei protagonisti, li invade pervade tortura:
il libero arbitrio non ha ragione di essere nominato, c'è solo
un mare di merda in cui si è condannati a nuotare, a qualsiasi
costo. Non resta che immergersi totalmente, abbrutirsi oltre ogni
rischio in una sorta di delirio mistico-autolesionistico,
auto-punitivo, auto-distruttivo, ricercando un martirio purificatore,
che ridoni verginità e senso ad un'esistenza agli inferi. La
morte come sbocco naturale di ogni interrogativo filosofico, in un
mondo dal cervello atrofizzato, ridotto a puro istinto, in cui non
c'è spazio per il buon senso - figuriamoci per la filosofia. E
quando un barlume di senno sembra farsi spazio, la filosofia, la
religione, dio stesso, vengono buoni come logici capri espiatori per
l'errore che si sta per compiere. Il cinema di Ferrara è al di
fuori di ogni moralismo, ma ha come oggetto la confusione morale.
Personaggi che vivono nell'oscurità, che piuttosto che tornare
a vedere, e vedersi, preferiscono bruciarsi gli occhi con una
vampata: senza mezzi termini.
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