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The Million Dollar Hotel Anno: 2000 Regista: Wim Wenders; Autore Recensione: Federica Arnolfo Provenienza: USA; Data inserimento nel database: 29-03-2000
Untitled Document
The Million Dollar Hotel
Di Wim Wenders
Con Jeremy Davies (Tom Tom), Mel Gibson (Skinner), Milla Jovovich (Eloise),
Jimmy Smits (Geronimo), Peter Stormare (Dixie), Amanda Plummer (Vivien)
Un salto nel vuoto. La macchina da presa sorvola Los Angeles, ricorsa
da una musica tanto invadente quanto perfetta. Scende lentamente a scoprire
l'insegna di un hotel: siamo sul tetto. Un ragazzo corre a perdifiato, e
salta. I suoi occhi ci consentono di vedere, lentamente, le finestre dell'hotel,
e la vita che c'è dietro. Stacco. |
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Il cielo del 2000 non sarà più sopra Berlino, e lo sguardo non
e' più armoniosamente in volo, bensì in caduta libera, ma la mano
di Wenders - ed il suo cuore - sembrano decisamente lasciarsi alle spalle i
passi falsi degli anni '90. Al salto non segue l'impatto al suolo, o almeno
noi non vi assistiamo: torniamo anzi indietro - e lo sguardo puro del ragazzo,
Tom ("tutti qui mi chiamano Tom Tom, ma voi chiamatemi Tom"), ci porta
dentro quell'hotel, la cui vita avevamo appena percepito grazie a quella caduta.
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Un altro ragazzo era caduto dal tetto, giorni prima: Suicidio? Omicidio?
Nulla ha davvero importanza e tutto è relativo in questa stravagante
"corte dei miracoli" che popola l'albergo; il tocco ricorda il
Browning di "Freaks", ma senza lo stesso sarcasmo: ognuno degli
abitanti dell'hotel è dipinto con una carica d'affetto che parrebbe
inusuale, se si dimentica anche solo per un attimo che è Tom Tom
la nostra guida. Così riusciamo quasi a credere alle farneticazioni
di Dixie sul suo essere il quinto membro dei Beatles, o a quelle di Geronimo
sulla grandezza della sua pittura, o a quelle di Vivien sul suo futuro matrimonio
con Izzy, il ragazzo morto. E ci innamoriamo anche noi perdutamente di Eloise,
pulcino (ops, topo) bagnato con maglione enorme a righe, piedi nudi e libro
in mano (interpretata da una mai così brava sig.ra Besson-Milla Jovovich).
Una ragazza che dichiara di non essere, di non esistere ("io non posso
morire, perché non esisto"), che legge "A Century of Loneliness". |
Le loro vite sono esplorate minuziosamente dalla macchina da presa che le chiude
spesso nel quadrato delle loro stanze, salvo poi (apparentemente) abbandonarle
per rivolgere la propria attenzione al quadrato della finestra (sono tutte enormi,
le finestre di questo hotel) che ci restituisce una porzione sempre incredibilmente
pura della "città degli angeli". Il gioco dentro-fuori, luce-ombra,
folle-sano è portato avanti per tutto il film, con una ambiguità
felice che non viene mai risolta (l'uomo che guarda il mondo con lo sguardo
del bambino - o dell'angelo - è un folle o è assai avanti rispetto
a noi? Se lo chiedeva anche Von Trier con "Idioterne", ma senza la
stessa facilità e felicità) neanche dall'intervento con il mondo
esterno (l'agente dell'FBI Skinner è uno di "loro", non tanto
o non soltanto perché sfigurato, ma soprattutto perché quando
deve scegliere è dalla "loro" parte che si schiera) se non
nell'impatto fatale, quando Tom ci dice che "ora finalmente tutto è
chiaro". Ma si paga sempre con la vita, questa chiarezza: sia essa quella
celeste o quella terrena, fa poca differenza.
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