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Sleepy Hollow
Anno: 1999
Regista: Tim Burton;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 01-02-2000


Il mistero di Sleepy Hollow

Il mistero di Sleepy Hollow (Sleepy Hollow)

Regia: Tim Burton
Sceneggiatura: Andrew Kevin Walker
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Produzione: Scott Rudin
Interpreti: Johnny Depp, Christina Ricci, Christopher Walken, Miranda Richardson, Casper Van Dien
Origine: Stati Uniti, 1999
Durata: 102 min.

Tra le ossessioni più forti di Tim Burton c'è la disgregazione dei corpi. Questi ultimi sono mostrati come macchine desideranti (è interessante notare che la disgregazione del corpo è paragonata da Massimiliano Spanu, autore della monografia delle edizioni Castoro, a performance della body art, ma soprattutto rappresenta la chiave di volta del "ribollire sessuale" dei quartieri periferici di Burbank, la città natale di Burton; il corpo come macchina desiderante, "il corpo senza organi di Edward, campo di immanenza stesso del desiderio"), dove le parti, gli organi, esprimono una vitalità disgiunta dall'insieme. Come se si potesse esaminare la funzione dell'organo sul tavolo operatorio dell'anatomista per scoprirne i più intimi segreti.
In Sleepy Hollow un cavaliere senza testa se ne va in giro tra i boschi a reclamare vendetta decapitando le vittime, tutti coloro che gli hanno sottratto il cranio, la parte più importante del corpo umano, senza la quale la macchina desiderante non può funzionare.
Il detective Ichabod Crane (Johnny Depp) lotta contro i metodi turpi della tortura, è convinto che la scienza sia strumento di progresso civile e va alla ricerca del vendicatore senza testa, sicuro che si tratti di un "normale" serial killer e della superstizione di un piccolo villaggio (una periferia dunque). Ma per riuscire nell'impresa dovrà in qualche modo perdere la testa anche lui, abbandonare completamente la parte razionale per abbracciare il soprannaturale nella sua perturbante evidenza, della quale egli stesso è consapevole quando si risveglia dai ricorrenti incubi. L'illusione ottica, il pappagallo e la gabbia, che ruotano nel gioco di prestigio, diventano un tutt'uno per la percezione umana (proprio come l'inganno delle immagini su schermo) senza esserlo, irretendoci giacché l'apparenza sensibile è faticosa da vincere. Il romanzo di Washington Irving che ispira il film, rappresenta, anche per il periodo storico in cui è stato scritto, il diciannovesimo secolo, una delle prime riflessioni tra verità scientifica, tecnologia e prodigiosi arcani. Forse per questo l'armamentario del detective appare in tutta la sua buffa inutilità: apparecchi muniti di lenti, veri e propri dispositivi visivi per scrutare più a fondo, arnesi adatti a penetrare i recessi dell'organismo in cerca di verità razionali. Ma l'apparizione del cavaliere senza testa in un batter di ciglia cancella ogni certezza affidata alla logica.
Tim Burton ci ha già abituato nei suoi film, da Beetlejuice a Edward mani di forbice a Mars Attacks, ad affrontare direttamente l'ultraterreno nella splendida evidenza cinematografica. Che è totalmente al di là dell'esperienza sensibile quotidiana. Infatti, le ricostruzioni scenografiche dei luoghi descrivono universi astratti, ambienti naturali magici dai cromatismi alieni, eccentriche creature, vegetali incantati, animali stregati, bizzarri esseri umani dal pallore cadaverico. Un albero inquietante racchiude il segreto del cavaliere senza testa, gli abitanti del villaggio sono affatto diversi dalla loro apparenza. I titoli e le professioni sono anzi la prefigurazione stessa della menzogna: un prete che fornica, un notaio che inganna la legge, un dottore che viola l'etica professionale... In tali inquietanti ritratti, sui quali Burton invita al sorriso, stimolato anche dai tratti somatici caricaturali dei personaggi, sta la forza eversiva di questo cinema. La stessa degli horror classici, i B-movie da Corman a Bava, gran passione di Burton e fonte inesauribile di immaginario.