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Marana Simhasanam
Anno: 1999
Regista: Murali Nair;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: India;
Data inserimento nel database: 22-11-1999


Marana Simhasanam

MARANA SIMHASANAM



Regia: Murali Nair
Sceneggiatura: Bharathan Narakkal, Murali Nair
Fotografia: M.J.Radhakrishnan
Montaggio: Lalitha Krishna
Scenografia: Preeya Nair, Saji Varkhala
Suono: Krishna Kumar
Musica: Madhu Apsara
Interpreti: Vishwas Njarakkal, Lakshma Raman, Suhas Thayat, Jeevan Mitva
e gli abitanti del villaggio di Marrjanakkadu

Produttore: Preeya Nair.
Produzione e vendita: Flying Elephant Films Ltd, 12 Angelfield, St. Stephens Road, Hounslow, Middlesex TW3 2BT, England, e-mail muraliglobalnet.co.uk
Provenienza: India
Anno: 1999
Durata: 1 hr.



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Amaramente grottesco, unisce alla descrizione dello stato di indigenza della popolazione indiana uno sguardo poetico sulla calma superficie delle acque del fiume, riprese con lente e calligrafiche fotografie, che contrastano con la concitazione del linciaggio al momento della cattura di Krishnan, ladro per necessità (due volte la moglie dice con tono accorato: "Sono preoccupata per nostro figlio") e con i dettagli con cui inizia il film, che creano quasi un effetto astrattista sul corpo dell'uomo che zappa il terreno: di lui non si vedono i movimenti, ma veniamo martellati dall'energia sprigionata dal suo gesto ripetuto con vigore e tuttavia non ripreso nel suo svolgersi, quanto nel dettaglio che restituisce centuplicata la fatica. Malpagata.

Eppure il sarcasmo diventa parossistico quando si descrive la strategia del partito comunista locale - ancora più immoto delle acque al tramonto, pompiere come in ogni altra latitudine: dapprima in clima elettorale sfrutta il caso dell'ingiustizia subita da Krishnan, poi spaccia per grande vittoria il fatto che egli non venga ucciso per impiccagione, ma venga giustiziato su una sedia elettronica di nuova concezione che nel suo azionamento telecomandato e nella sua origine statunitense trova le metafore più esplicite del nuovo modo di distruggere le vite con la mondializzazione. Alle filosofie classiche delle canzoni ascoltate con una radio a transistor, i cui testi indiani mettono in guardia dall'idolatrare le belle teste, perché di lì a poco l'effimericità della vita le rende teschi (Luciano di Samosata s'apparenta con canzonette indiane per la sua rimozione a favore di una morte elettronica che comporta onori e gloria), si sostituiscono beni alieni alla società di cui si fa parte, per la quale non è il caso di lottare, vista la terribile facilità di castigare senza proporzione, chiusa nel proprio arcaismo (i megafoni sulle barche per fare campagna elettorale come da noi nei primi anni '60s con le seicento starnazzanti slogan) e facile preda delle sirene occidentali.
Terribile la tristezza della gogna, la barbarie della sudditanza al padrone, la retorica truffaldina del partito, ma ancora peggio la festa e il trionfo della sedia di morte nel giorno in cui Jospin diventa un pericoloso sovversivo richiedendo il bando della pena di morte al cospetto di progressisti forcaioili e ex pciisti che richiedono la cancellazione delle pensioni di anzianità; un presente di orrore che nel Kerala arriva attraverso la lettura collettiva del giornale che riporta le notizie del Kosovo (ma non era in atto nello stesso periodo una guerra aperta tra India e Pakistan: cos'è? Censura, oppure il prodotto di Nair è pensato per l'esportazione?), che come un boomerang ci ritornano, richiamandoci alle miserie del periodo. Unica figura di una bellezza antica è la moglie di Krishnan, che non dirà altre frasi oltre a quella sulla preoccupazione per il figlio, ma non parteciperà all'ultimo banchetto in onore di Krishnan, farà i gesti che le verranno richiesti dalla comunità, ma senza aderirvi; nessuno potrà convincerla che si tratti di una vittoria la perdita del marito, tranne di fronte al busto dello sposo-martire ... e i segni della dissolta preoccupazione.
Praticamente uno snuff-movie dove a Johnny Depp si sostituisce un bracciante cinquantenne, che immolandosi, dando spettacolo con la sua morte consente alla famiglia di sopportare meglio la miseria. Rimane impressa la lacrima del silenziosissimo figlio durante la straziante, brevissima e intensa visita al carcere attraverso le sbarre, un'immagine chiarissima di come il fato si abbatta sempre sui deboli esprimendo la totale inanità degli sforzi di affrancarsi dalla miseria. Anzi: il partito suggerisce di mettere il trono di morte al servizio della comunità. Vista la vita di merda del paesino, tutti devono avere la possibilità di usare quello strumento di morte rapida e senza dolore. Dovremmo farne richiesta anche in Italia come succedaneo delle pensioni che la sinistra di governo vuole cancellare: se non si sopporta più la vita di stenti e lavoro, è conquista di civiltà poter usufruire di una sedia telecomandata che dando spettacolo ci liberi del fardello terreno.


visto al © 1999 Torino Film Festival No rights reserved