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eXistenZ
Anno: 1998
Regista: David Cronenberg;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: Canada;
Data inserimento nel database: 22-11-1999


eXistenZ; regia e sceneggiatura: David Cronenberg, fotografia: Peter Suschitsky, scenografia: Carol Spier, effetti speciali: Jim Isaac, suono: Ryan Shore, musica: Howard Shore, montaggio: Ronald Sanders, interpreti: Jennifer Jason Leigh (Allegra Geller), Jude Law (Ted Pikul), Willem Dafoe (Gas), Ian Holm (Kiri Vinokur), Don McKellar (Yevgheny Nourish), Callum Keith Rennie (Hugo Carlaw), Sarah Polley (Merle), Christopher Eccleston (Levi); produttori: Robert Lantos, Andras Hamori, David Cronenberg, produzione: Alliance Picture International/Natural Nylon Entertainment,. Canada/Gran Bretagna, 1998. Durata 1 h e 48'. David Cronenberg, da sempre, è l'autore per il quale l'immagine è materia, oggetto carnale da plasmare, seviziare, corrompere, decomporre e lasciar sedimentare nei più riposti angoli della psiche dell'individuo che, in contesti differenti e situazioni che ovviamente mutano di livello, nella maggior parte dei casi riveste anche il ruolo di spettatore. La sua assimilazione del quadro cinematografico alla carne ha un qualcosa di magicamente morboso, di viziosamente deviato, di coartatamente esibito nell'intenzione supremamente allegorica di rendere l'essenza sintetica e virtuale dell'immagine una sostanza organica di natura simile ad un sistema pulsante, costantemente vivo ed operante in qualunque momento, anche nelle occasioni più indolenti e dominate dalla pura geometria dei corpi. In Cronenberg acquista importanza il particolare stomachevole e disturbante, il dettaglio che provoca ed induce alla reazione spettatoriale. Perché al regista canadese interessa penetrare dentro l'involucro umano, inteso sempre come appendice, come una protesi che dia vita ad un prolungamento fatto di inorganico (il metallo di Crash, la macchina che trasforma l'umanità in insetti ne La mosca), di sogni e visioni (l'uomo catapultato nella realtà televisiva in Videodrome, la soggettività veggente come residuo della malattia fisica ne La zona morta, il delirio allucinato ed assassino stretto a doppia mandata al furore letterario de Il pasto nudo), in modo che sia possibile una connessione tra la palpabilità della materia e la libera ascendenza della mente, ultimo confine di estrema ed illusoria libertà pronto a ribaltarsi su se stesso sempre con modalità funeste e dolorose. Anche eXistenZ non si sottrae alla concezione visionaria di Cronenberg e alla sua volontà di mostrare il purulento organico come immagine che precede ed anticipa l'implicazione mentale con tutte le sue conseguenze sul piano allucinatorio e falsamente cognitivo. Anche eXistenZ utilizza la carne, il sangue e le viscere contiguamente alla sensualità, immagine più perversa perché ardentemente materiale e fisica, non sentimentale e poetica, ma esclusivamente biologica (si pensi alla dichiarata allegoria del coito presente nell'inserimento del jack nel foro praticato sulla schiena). Ma eXistenZ utilizza il corredo materico presente nell'immaginario del regista per sviluppare una profonda riflessione sull'incidenza della virtualità all'interno dei confini di una supposta realtà. Un film caratterizzato da una costruzione fatta a scatole cinesi, dove ogni episodio narrativo, ogni singola sequenza è inclusa in un altra che la contiene e che contribuisce, a sua volta, a creare uno stato di confusione sull'effettiva dimensione del reale e della verità effettuale. In una struttura che mescola volutamente ed abilmente autenticità e finzione virtuale, realtà e sua immagine mentale, sicurezza ed insicurezza, fino a far perdere le tracce dell'ipotetico discrimine tra i due differenti livelli di consapevolezza, niente può aiutare lo spettatore in una definizione certa di ciò che è reale e di quello che invece è fantasia ludica, prodotta dal videogioco. Anche i loop e i bug in cui grottescamente incorrono i personaggi creati appositamente per il gioco, non sono segnali per lo spettatore, ma soltanto indici che permettono di situare la vicenda e di caratterizzarla, arredandola secondo una coerenza particolare, propria del gioco virtuale e della realtà che da esso si origina. Quello che pare rimanere allo spettatore per orientarsi all'interno di un vero e proprio dedalo cognitivo è semplicemente la disposizione dei personaggi nei confini scenografici dello spazio, unica possibilità per cercare di riconnettere logicamente i fili di una narrazione che salta con grande virtuosismo da una situazione all'altra senza alcuna soluzione di continuità. Il movimento quasi meccanico delle figure all'interno di una scenografia colorata, densa di oggetti posti ad arricchirla da un punto di vista ambientale, le azioni motivate esclusivamente da un input verbale o comportamentale indotto dal volere dei protagonisti, si scontra sul piano rappresentativo con la chiara geometrizzazione degli spazi organizzata da Cronenberg nelle scene che rappresentano (o meglio, che dovrebbero rappresentare) la realtà effettiva in cui il videogame viene presentato e discusso (si pensi all'ordine quadrangolare degli astanti seduti in platea ad osservare, oppure al perfetto semicerchio formato dal nucleo di giocatori che sta sperimentando il simulatore di realtà). Ma nemmeno questo contrasto relativo alla disposizione ambientale e scenografica conferisce rilievo alla possibilità dello spettatore di districarsi all'interno della matassa equivoca creata da eXistenZ: l'ultima frase del film, la perfidamente ambigua ingiunzione di non sparare, unita al dubbio sollevato sulla possibilità di trovarsi ancora all'interno del gioco, pone seriamente in crisi la possibilità di arrivare ad una determinazione sicura dello statuto delle immagini e della narrazione che le ha ordinate lungo tutto il suo corso. Realtà o virtualità? Violenza concreta o immaginata? Situazioni effettivamente esperite o puro flusso psichico? eXistenZ non offre risposte perché il senso dell'operazione di Cronenberg risiede tutto nell'incertezza che genera inquietudine. Al contempo il film fornisce anche una lettura in chiave metaforica e metanarrativa: la virtualità che viene mostrata non è forse, oltre all'apocalittica immagine di un'era già presente in cui la forza dell'immaginario sarà così potente da indurre ad abbandonarvicisi senza la possibilità di discernerne con certezza i limiti, lo specchio fedele della produzione cinematografica stessa, impegnata nel fornire una realtà-altra in cui ogni individuo ricopre un ruolo dotato di caratterizzazione, volontà e psicologia propria, differente dal tipo umano che lo impersona. L'uomo diventa il suo ruolo, il personaggio si fa attante perché interagisce all'interno di una struttura narrativa ben delineata che nasce e viene stimolata dalla sceneggiatura, input cartaceo che crea, ordina e dispone ogni situazione all'interno della realizzazione di una pellicola. Il cinema come gioco, l'immagine come materia modellabile che contribuisce a plasmare le singole parti di cui è costituita, l'ambiguità come momento in cui lo spettatore deve necessariamente abbandonare le sue certezze per affidarsi ad un demiurgo realizzatore che inventa la virtualità. È forse un caso che gioco e film si intitolino nello stesso modo? Un circolo vizioso da cui è impossibile uscire se non a costo di spezzare l'incanto del gioco e della fruizione cinematografica. Che è come un jack infilato nella schiena a contatto con i centri nervosi.