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eXistenZ
Anno: 1998
Regista: David Cronenberg;
Autore Recensione: adriano boano
Provenienza: Canada;
Data inserimento nel database: 21-11-1999


eXistenZ

Death to demon David Cronenberg!


Regia, soggetto e sceneggiatura: David Cronenberg
Fotografia: Peter Suschitsky
Montaggio: Ronald Sanders
Scenografia: Carol Spier
Effetti Speciali: Jim Isaac
Musica: Howard Shore
Interpreti: Jennifer Jason Leigh, Jude Law, Willem Dafoe, Ian Holm, Don McKellar, Callum Keith Rennie, Sarah Polley, Christopher Eccleston
Produttore: Robert Lantos, Andras Hamori,.
Produzione e vendita all'estero: Alliance Pictures International, 121 Bloor Street East Side Suite 1400, toronto, Ontario, M4W3M5 Canada
Distribuzione: Cecchi Gori (bastardi, che non lo distribuiscono senza motivo)
Provenienza: Canada
Anno: 1998
Durata: 1 hr. 48 min.



Alla fine di traScendenZ possiamo reagire con un atto di emancipazione dallo stato di sudditanza dall'immaginario del sommo canadese, che ci manteneva succubi delle sue macchine a risoluzione tecnologica vicina allo zero, oppure rimane invischiati dal suo preciso mondo popolato di concrezioni organiche; entrambi i rigurgiti sono plausibili allo stesso modo: sia che Allegra Geller ci abbia convinti della giustezza della lotta contro le multinazionali spacciatrici di virtualità, sia che la stessa creatrice-demiurga ci abbia ammaliati e resi complici della sua infinita serie di rimandi ad un universo altro con la promessa che è assolutamente falso nella sua verosimiglianza, al punto che alla fine chiediamo anche noi: "Ditemi la verità: siamo ancora nel gioco?". Il rifiuto liberatorio del repertorio degli incubi di Cronenberg, ribaditi manieristicamente nei mutanti a due teste, idre organiche che si trasformeranno in micidiali e ridicole armi una volta masticati in un banchetto totemico a cui non si può resistere a causa di leggi sottese al programma, o viceversa la conferma in una fede che vede il guru canadese come officiante dell'autoironico gioco metaforico, nel quale è evidente l'allusione ai meccanismi cinematografici: sono entrambi legittimati da un testo più articolato del solito, ma debitore dalle opere precedenti per oggetti (i "gusci" per connettersi), situazioni (la penetrazione dei corpi da parte di orpelli elettronici con forme organiche tanto ancestrali da essere cordoni ombelicali), ambienti di immancabili officine - simili a La Mosca - si raffinano in un mondo unto, pieno di infezioni, sottomesso alle immaginazioni di chi partecipa al gioco ("Il giocatore è il dio-creatore" dice Gas-DaFoe, che aggiunge mefistofelico: "God, the mechanic").

Come in Naked Lunch bucetti anali sono vellicati con tattilità paradossali nella virtualità, essi fungono da orifizi (bio-porte nella versione cyberpunk del mondo tardo -burroughsiano) e consentono il passaggio da uno stato organico ad uno cyborg: non è difficile immaginare che si tratti di una trasposizione di un romanzo di Gibson, ma in più si coglie una freddezza di sguardo che ammanta i personaggi con un'assenza, funzionale al loro stato di personaggi non sempre appartenenti ad uno stesso universo di riferimenti chiari, anzi ci troviamo ad inseguirli dovendo costantemente effettuare il medesimo sforzo che compiono loro per adeguarsi alla nuova situazione imposta dal gioco che impone il passaggio attraverso certe azioni e scambi verbali imprescindibili, in caso contrario il rischio è quello di mandare in loop il personaggio che ha la chiave per proseguire. Il risultato è quello di una cura maniacale al punto di rappresentare precisamente il loop del programma pure attraverso le posizioni dei personaggi che continuano ad assumere pose precedenti, innaturali, ma plastiche a sufficienza per offrire la tipica ricostruzione della videata di partenza di una "sequenza". Infatti si ribadisce la derivazione cinematografica di questa confusione di realtà diverse ognuna con lo stesso grado di verosimiglianza (zero o infinito è uguale); delizioso risulta così il meccanismo (metafora del cinema) per passare da una matrioska all'altra: sembra di non cogliere il passaggio, mentre invece è evidente, perché agisce sulla nostra capacità di cogliere le discrasie tra realtà e finzione, che alla fine si svela non essere un meccanismo di scatole cinesi, ma una serie di mondi in comunicazione labirintica tra loro, ma non compresi l'uno nell'altro, bensì totalmente autonomi e sempre da negoziare: il gioco pare essere capire quale è il gioco stesso e chi lo conduce e alla fine i partecipanti della messa in gioco iniziale saranno diversi da quelli del risultato finale, perché i due universi ludici non sono lo stesso, nonostante la situazione di cerchio in rete locale (quasi da seduta spiritica) appaia il medesimo.

Momenti di spiegazioni tecniche delle emotività ("É un patetico tentativo di innalzare la temperatura della prossima sequenza", di fronte alla pulsione sessuale che si scatena a partire dalle esigenze del gioco, apparentemente) o di soluzioni abborracciate di certe situazioni frammentate proprio per accentuare la parentela con i giochini: un compendio del cronenberghismo a cui si aggiunge il tocco lynchiano dello smarrimento del piano della realtà, solo che qui si riesce a seguire ancora una rete di collegamenti e, a patto di non voler definire quale sia il vero universo del reale (o meglio a patto di non dare come assunto che ce ne sia uno), ci si orienta ancora, almeno fino alla fine, quando ognuno potrà dare l'interpretazione che più lo convince all'epilogo del film (e solo del film, perché nella catena infinita di rimandi orchestrati cinematograficamente si potrebbe montare tutto diversamente o proseguire in modo differente, come in un ipertesto). Belli gli orpelli organici burroughsiani, di cui si mantiene il cinismo che fa commentare un omicidio: "Era solo un personaggio e stava portando confusione", e ottima la capacità di trascorrere da una "sequenza" all'altra evidenziando il modo di operare del cinema e la sottolineatura ci coinvolge perché anche per noi non ci sono traumi reali nel passaggio da una sequenza all'altra, perché assumiamo la convenzione cinematografica nel momento che ci predisponiamo a vedere il film, quindi volta per volta assumiamo le informazioni che sapientemente il regista ci fornisce per decrittare la nuova situazione. Si può infatti trascorrere da una "sequenza" del gioco all'altra usando dissolvenze stacchi ... Una di queste, geniale per la costruzione, vede l'inopinato ritorno alla situazione del ristorante cinese partendo dal momento di 'pause', e dunque da una realtà per noi ancora connotata come quella più vicina alla realtà diegetica: il passaggio si compone di una dissolvenza incrociata sulla banda sonora che inserisce il rumore un secondo prima dell'attacco sul movimento della porta della cucina che si apre lasciando entrare il piatto vomitevole che con un geniale colpo di scena trasforma il cibo in pistole di cartilagini e ossa. Tutto l'armamentario cinematografico è spiattellato come finzione, però rispetto a Ferrara e Lynch i paradigmi del reale saltano molto meno e questo rende ancora più inquietante il mondo tenebroso che può essere messo in pause per tornare ad una situazione che parrebbe essere quella di partenza, ma una volta lasciata una dimensione si torna soltanto in dimensioni simili, che ingannano ancora di più, ma sono ancora razionalmente recuperabili, mentre in Lost Highway lo sforzo per accettare gli eventi supera i confini della ragione e dei sensi; qui si perde soltanto il contatto con la realtà, che sembra avere solo emersioni in isole private di senso, ma che assumono un ruolo centrale per la loro ricorsività: ad esempio la frase "Il cane mi ha riportato l'arma" riferita a due cani diversi da due padroni differenti conferisce alla sequenza volutamente sottolineata del cane che raccoglie la pistola di ossi un crisma di verità superiore agli oggetti palesemente sintetici esposti nelle officine, frutto dei ricordi stratificati nel profondo dell'animo infantile dei giocatori.
L'adesione al plot è corticale, mentre la descrizione dei personaggi è pirandelliana, con la autocritica finale durante la quale si descrivono i ruoli spostando ancora una volta il fulcro su un nuovo creatore, su un diverso registro, non si capisce se alla ricerca dell'Ur o se semplicemente si debba sempre inventare un nuovo espediente per avviare una situazione da agire, ovvero una nuova opportunità di tradire una realtà apparentemente assodata o di introddure un virus in un momento di statico equilibrio di un sistema (il disease di cui in realtà si compone eXistenZ, che è il gioco scatenato da traScendenZ.

visto al © 1999 Torino Film Festival No rights reserved