NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Fight Club
Anno: 1999
Regista: David Fincher;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 31-10-1999


Fight Club (idem); regia: David Fincher; soggetto: dal romanzo omonimo di Chuck Palahniuk; sceneggiatura: Jim Uhls; fotografia: Jeff Cronenweth; montaggio: James Haygood; musica: The Dust Brothers; interpreti: Edward Norton (il narratore), Brad Pitt (Tyler Durden), Helena Bonham Carter (Marla Singer); Stati Uniti, 1999; colore, durata 2 h e 15'. I fight clubs sono associazioni messe insieme arbitrariamente negli Stati Uniti con lo scopo di offrire uno sfogo più che violento alle pulsioni implosive di una moltitudine di individui, stressati dal lavoro e dalla società dei consumi che li circonda. Fincher utilizza il fenomeno per una messa in scena estrema in cui la violenza e la sua spettacolarizzazione fungono da motore narrativo di una vicenda che parte come un film satirico sulla civiltà consumistica, si attesta centralmente sul tentativo di evadere in modo distruttivo ed anticonformista dalla monotonia e dal male di vivere, per concludersi come una semplicistica (e mal riuscita) meditazione sulla psiche dell'individuo e sulla sua capacità di creare fantasmi e mostri terribilmente palpabili dal suo subconscio. L'inizio è folgorante: dopo un breve e tesissimo prologo, che lo spettatore può solo guardare ed immagazzinare per poi recuperarlo successivamente, la storia si delinea in flashback, con Edward Norton che comincia a narrare le varie vicissitudini che lo hanno portato all'incresciosa situazione iniziale. Narrazione incalzante, montaggio serratissimo tra le varie sequenze che il narratore ordina e mette in serie come momenti emblematici (e altamente negativi) della sua situazione esistenziale, trovate geniali (quella di includere nella stessa inquadratura l'uomo che punta al mobilio Ikea come status symbol e il catalogo del mobilificio con tanto di descrizione didascalica dei modelli e relativi prezzi, quasi che l'uomo giungesse ad abitare il catalogo), rapporti di causa/effetto splendidamente studiati (le sedute alle quali Norton assiste nella speranza di consolarsi dei suoi mali) diventano il mezzo tramite il quale Fincher lancia la sua accusa personale alla vacuità del consumismo come affermazione del proprio posto in seno alla società. Se la parte centrale ha dalla sua la spettacolarità della violenza, giunta ormai a soppiantare qualunque depressione umana con la sua forza devastante, la parte finale, quella in cui Norton comincia a rendersi conto che verso il personaggio di Tyler non di rapporto di sottomissione si tratta, bensì di scissione mentale, appare la più debole per mancanza di una coerente organizzazione nel tessuto narrativo. Fight Club, diventa così l'ennesima riflessione del cinema contemporaneo sulla dissociazione mentale dell'individuo, sulla schizofrenia che pare sempre più spesso essersi impadronita di temi e linguaggio cinematografici. Blackout di Abel Ferrara narrava di un attore hollywoodiano (la scissione resa istituzionale dalla 'macchina cinema') resosi ignaro responsabile di un efferato omicidio grazie ad un buco narrativo nella struttura stessa della storia; Strade perdute di David Lynch raccontava la schizofrenia come vera e propria sostituzione fisica, adottando un rigoroso criterio di identificazione con il personaggio che, mentre forniva tutti gli elementi necessari allo svelamento dell'assunto, portava completamente fuori strada lo spettatore che viveva così la schizofrenia in prima persona, come se fosse stata la sua. Il lavoro di Fincher anticipa in modo quasi subliminale, pre-diegetico se ci è concesso un neologismo, la tematica della schizofrenia e del doppio già nella promozione del film: trailers e manifesti pubblicitari si divertono ad invertire i nomi degli attori (o a far comparire il nome di uno con il cognome dell'altro e viceversa) rispetto al volto cui sono accoppiati, oppure ad assegnare in un primo momento il nome al relativo personaggio, poi, subito dopo, a dare il nome scambiato, in una specie di apparentemente incomprensibile gioco che fornisce elementi determinanti per la comprensione che lo spettatore non può fare suoi se si trova nella condizione di non conoscere nulla del film che si appresta a vedere. In questo caso la macchina cinema, l'organizzazione che promuove ed esorta a vedere il film, funge un po' da ante-prologo, dando coordinate essenziali che solo lo spettatore più avvertito potrà far sue a posteriori. Fight Club, sul piano narrativo invece, mischia le carte e propone la schizofrenia come il risultato di un esaurimento causato da una marcata insonnia derivata da una altrettanto elevata insoddisfazione esistenziale. Il risultato è una divisione sul piano psicoanalitico tra il Super-io (rappresentato da Edward Norton, ossia l'istanza di norme e principi morali codificati dalla società e dalla propria educazione) e l'Es (la parte pulsionale che tenta di soddisfare con immediatezza gli istinti, impersonata simbolicamente da Brad Pitt, idolo che acquista un valore extradiegetico, ossia un divo nella cui effigie molti spettatori vorrebbero trasfigurare). Fincher da sempre è abituato a portare a spasso lo spettatore nei vari rivoli di una narrazione che controlla e dosa magistralmente in ogni sua sfaccettatura (si pensi al gioco sporco e per certi tratti immorale nei confronti del pubblico di The Game) e Fight Club parrebbe non fare eccezione: Edward Norton, nella veste di narratore omodiegetico (la voce narrante di un personaggio che fa pienamente parte della vicenda), traccia un percorso che lo spettatore segue perché non può far altro che fidarsi incondizionatamente. Gli stessi ammiccamenti del personaggio nei confronti della macchina da presa interpellano direttamente il pubblico e rafforzano la credenza di questo nella storia che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi. Ma un piccolo segnale Fincher lo fornisce fin dall'inizio: il film inizia, infatti, con un effetto digitale che mostra un composito movimento di macchina che dalle viscere di Norton giunge all'esterno, dove lo stesso personaggio sta per essere giustiziato con una pistola in bocca. Il nucleo tematico sta proprio in questo: il problema proviene dall'interno, la soluzione va ricercata nell'intimo del personaggio. Ed è in questo che la caratterizzazione messa in scena da Fincher mostra inesorabilmente la corda: tutte le esche e gli indizi (quegli elementi narrativi che trovano giustificazione nel corso della narrazione) che in modo discreto avrebbero dovuto infarcire la pellicola, dando una minima possibilità ai fruitori del prodotto di ricostruire almeno a posteriori il motivo della schizofrenia, sono pressoché azzerate da un intreccio che pare privilegiare nella sua parte iniziale la critica alla società dei consumi e l'incontro che fuga ogni frustrazione esistenziale. L'obiettivo viene così a distorcersi: non si tratta più di una falsa pista per giocare un ennesimo tiro mancino al pubblico, ma un evidente e puerile errore nella misura della costruzione della struttura del film. E certo non si può avanzare l'alibi che l'avvertimento di trailers e manifesti pubblicitari sia stato un valido aiuto nella determinazione delle caratteristiche atte a definire il tema centrale del film, che è un'opera che deve sempre essere compiuta e conchiusa in se stessa, senza bisogno dell'aiuto di produzione e distribuzione, le quali c'entreranno da un punto di vista finanziario, ma dal punto di vista dell'universo narrativo creato dal film sono perfettamente estranee.