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Eyes Wide Shut
Anno: 1999
Regista: Stanley Kubrick;
Autore Recensione: Alberto Corsani
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 27-10-1999


Proviamo a partire dalla fine

Proviamo a partire dalla fine. Mi sembra imbecille ironizzare sulla battuta finale di Kidman. Che il sesso, quello praticato, sia un linguaggio non lo scopriamo certo oggi, ed è un bel linguaggio. E’ un po’ meno bello che altri linguaggi che servono alle persone per comunicare siano sbiaditi e in molti casi inservibili. Questo accade

infatti ai due protagonisti: la perdita di altri linguaggi. La confessione reciproca di eventi vissuti (vissuti da estraneo) o anche semplicemente immaginati passa necessariamente attraverso stati di alterazione, che si chiamino marijuana o pianto a dirotto. Ma l’alterazione non era necessaria per farsi coinvolgere(o addirittura travolgere) da quegli stessi eventi. In fondo e’ facile, a quanto pare, cascarci.

Non c’e’ retorica nel dire che il film parla della fedelta’ coniugale.

A parte il fatto che la medesima fedelta’ e’ ormai merce rivoluzionaria, il discorso serve evidentemente a Kubrick (e anche a Schnitzler) per dirci della fragilita’ dell’essere umano; del fatto che il confine tra la trasgressione e l’idea della trasgressione e’ labile: da qui a dire che basta avere certi pensieri per essere considerati peccatori ce ne corre, e parecchio. Il problema (e il fascino) sta tutto in quello che il film non mostra, e questo, per un regista della visibilita’ come Kubrick, non e’ assurdo. E’ la prova "a contrario" che, sperimentato fino al limite il visibile, puo’ esserci sempre qualcosa che eccede.

Difatti la dinamica dei rapporti Cruise-Kidman sta fuori dal film, e addirittura sta fuori dalle pagine di Schnitzler. Io lo riassumerei cosi’, forse forzando: ognuno di noi e’ esposto a esperienze che non riesce o non vuole o non puo’ condividere, nemmeno con le persone piu’ vicine. Perche’ sono esperienze proibite o forse, semplicemente, perche’ sono esperienze che esorbitano dalle nostre abitudini (il medico, per quanto attaccato ai soldi e amante della societa’ bene, non sguazza tra orge e "ballet rose", ne’ frequenta abitualmente vecchi lenoni che vendono le proprie figlie); e tuttavia queste esperienze ci sono; solo qualche evento straordinario riesce a farle affiorare: ma i guai non finiscono qui, e l’imperativo finale di Kidman sul darci dentro rimanda il problema, non lo risolve.

Il problema si ripresentera’ in questi termini: ma allora, mentre vivevamo queste vere o presunte esperienze, quali erano i rapporti fra di noi? Non vorrei che si pensasse a una banalizzazione italica relativa all’onore, non e’ solo questione di corna. È’ questione di fiducia, di linguaggio e di rinnovo della fiducia malgrado tutto. A me vien fatto di pensare a un altro grande film, grande per quello a cui rimanda (come grandissimo e’ il racconto di partenza, che anch’esso rimanda a qualcosa di non-narrato), cioe’ "I morti" di Huston da Joyce. Il racconto della protagonista che rievoca il suo giovane spasimante di tanti anni prima lascia sbigottito il marito, il quale, mentre la neve cade "su tutti i vivi e su tutti i morti", pensa che per anni e anni non si era mai accorto di questo segreto dolcissimo. I toni qui sono meno drammatici, ma il concetto e’ lo stesso. E la questione del senso di un film che sta non fuori dal film (questo lo aborriamo credo tutti) ma nel non-detto del film, cioe’ dentro anche se inespresso, e’ interessante assai.

Un altro appunto farei al lungo episodio che ha scatenato i detrattori: la banalita’ e gratuita’ presunte del festino. A chi contesta il grottesco uso di un latino imbastardito, di messinscene tra il massonico e il romaneggiante, tra il decadente e la rimpatriata di compagni di corso, suggerirei di guardare a quanta banalità ci circonda, proprio nel fittizio di rapporti fatti di apparenza. Un’epoca, la nostra, in cui cala la pratica religiosa tradizionale e si erge alle cronache una religione self-made, un pateracchio di simbologia varia, che utilizza le vestigia del religioso per ammantare di fascino discorsi assolutamente prosaici e di bassa lega (per esempio la riverenza alla Sacra ampolla padana alle falde del Monviso). Tutto questo sarebbe meno ridicolo degli armigeri di EWS? E un maggiordomo senza maschera e’ meno ridicolo di un maggiordomo con maschera? E Cruise senza maschera e’ piu’ espressivo di Cruise in maschera? Quanti atti, presunti seri, sono oggi scenografia vuota? Quanti rituali, dallo stadio all’etnicita’ sono in realta’ fuga dalla realta’?

La verita’ e’ che il nostro e’ un mondo stereotipo, in cui tutti sono uguali a tutti e molti di quelli che vogliono essere diversi sono piu’ uguali degli altri, e allora cercano di mascherarsi, senonche’ si mascherano tutti troppo simili, e via dicendo... Anche Marion e’ acconciata (nel senso dei capelli) come Kidman, e la ricerca di come distinguersi porta al kitch degli arredamenti d’interni (tra casa del padre di Marion e villone della festa di Pollack). Tanto poi l’albero di Natale accomuna tutti, e tutti dovrebbero essere piu’ bravi (anche se Dante ? Joe ? ci aveva detto che a Natale capita di restare nella cappa del camino, e il Natale di EWS fa sembrare allegro quello di Danny Rose, che nel film di W. Allen festeggia con tacchino surgelato e qualche sfigato artista da avanspettacolo). Il mondo e’ anche un mondo in cui si ha terrore del dolore fisico (ragion per cui a nessuna paziente verrebbe in mente di gingillarsi con il biscotto del dottore) e del dolore della separazione (ancora Marion ma anche, ovvio, i protagonisti), e si ha terrore di deludere gli altri e di essere considerati inadeguati, non all’altezza (Kidman sognava che "quell’uomo" rideva di lei); un mondo in cui la tessera di medico un mondo funge da lasciapassare piu’ di quella di agente; in cui la famiglia e’ ancora un valore (le minacce coinvolgono la famiglia), e il triste non e’ questo, e’ che scompaiano gli altri (dunque Kubrick e’ anche autore d’attualità’, ad onta di quanto pensano tanti).

Un mondo in cui crediamo di sapere tutto, ma che ci si apre con territori sconfinati e inesplorati (il vizio dove non lo aspetti, il tradimento dove non lo sospetteresti, cioe’ in te per primo); ci accorgiamo che sa un momento all’altro veniamo precipitati in questi territori e non sappiamo come starci. EWS riprende il discorso di 2001 e di Shining, che sono film sulla realta’ e non SF o horror. Forse horror proprio perche’ reali. EWS e’ terribile, in questo, e’ lucidamente (come sempre) implacabile nel presentarci situazioni spiraloidi da cui non riesci a uscire, inesorabili come in Hitchcock.