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The Mummy - La Mummia
Anno: 1999
Regista: Stephen Sommers;
Autore Recensione: Giampiero Frasca
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 02-09-1999


Remake o semplice concezione di film postmoderno?

La mummia

Fino a che punto è possibile parlare di remake, quel concetto tutto americano che prevede il rifacimento di un’opera realizzata in precedenza tanto per rinverdirne il grande successo? Si può tranquillamente parlare di remake nel caso di quest’ultima ‘mummia’, scritta e diretta da Stephen Sommers, nei confronti dei due più celebri antesignani a firma Karl Freund (1932) e Terence Fisher (1959)? Certo qualche sostanziale differenza è presente. Ne La mummia odierna l’eroe è un avventuriero (non a caso...), tale Rick O’Connell, il quale per caso si imbatte nelle rovine di Hamunaptra durante una battaglia della legione straniera (in Egitto? Nel 1923? E il protettorato britannico di fatto presente dal 1882, con la sconfitta di Arabi Pascià, e l’effettiva occupazione dal 1914?). Tremila anni prima, in quello stesso sito, Imhotep, il sacerdote del faraone, aveva cercato di riportare in vita la sua amata Anck-Su-Nanum, moglie del sovrano, dopo che questa si era suicidata a causa della scoperta loro amore proibito. Il tentativo di Imhotep provoca la tremenda ira degli dei, i quali gli infliggono un’agghiacciante maledizione: la lingua gli viene tagliata ed il suo corpo mummificato e chiuso in una tomba nella quale dimorerà per l’eternità, condannato ad un’esistenza torturata fino a quando qualcuno non riuscirà a riportare il suo corpo alla luce. L’avventuriero, insieme all’egittologa Evelyn, al fratello di questa Jonathan e al responsabile della prigione egiziana in cui O’Connell è stato in un primo momento condannato a morte (ma il reato probabilmente è un segreto molto più grande della maledizione di Imhotep, visto che non viene mai precisato, lasciando quindi lo spettatore con la sensazione di un vuoto di sceneggiatura difficilmente colmabile ad un livello razionale, e con la netta impressione che lo script abbia più che altro l’intenzione di far quadrare le cose più che di giustificarle...), si mette in cammino per raggiungere la città dei morti dove è nascosto un grande tesoro che ha attirato molti altri cercatori e avventurieri. Fin qui la storia. Leggermente diversa dal film di Freund del ’32, dove invece era lo stesso sacerdote Imhotep (Boris Karloff), ritornato in vita per la solita lettura del papiro, a guidare, camuffato, la spedizione archeologica per riportare in vita la principessa da lui amata. Elemento in più, l’estrema somiglianza della ragazza del gruppo con la principessa defunta, al punto da far pensare ad una reincarnazione. Elemento presente anche nel successivo film targato “Hammer” del 1959: la mummia del sacerdote, che questa volta si chiama Kharis (Christopher Lee), vuole ‘semplicemente’ vendicare la profanazione della tomba della principessa da lui amata, e a questo proposito comincia ad uccidere uno per uno tutti i membri della spedizione archeologica. Morirà per essersi distratto a contemplare la moglie (Yvonne Furneaux) dell’ultimo archeologo rimasto in vita (Peter Cushing), terribilmente somigliante alla principessa origine delle sue sfortune. Suggestioni, quelle del film di Sommers, che sin dalle prime inquadrature mostra l’intenzione perseguita (volutamente?) ed il limite dell’operazione: un movimento di macchina porta lo spettatore a superare la soglia dell’universo narrativo e ad entrare in una Tebe ricostruita al computer, più simile al contesto ambientale de Il principe d’Egitto che ad una ricostruzione verosimile, a causa della sciatta definizione della computer-grafica, molto poco connotabile sul piano oggettivo. Quindi, fin da subito, La mummia viene a proporsi come enorme giocattolone hollywoodiano di sapore postmoderno: nessuno spreco di perizia architettonica come nel Cleopatra di Mankiewicz che affossò la Fox, ma ricostruzione virtuale di un mondo, di un ambiente, di un côté, della stessa storia del cinema. La mummia scava e ricava il suo referente, infatti, non nei film dallo stesso titolo ad essa precedenti (o perlomeno non solo), ma dalla stessa storia del cinema: come un autentico patchwork mette insieme più elementi, li cita (enormemente), li struttura (non benissimo), li rielabora (poco) e ne compone un’intera narrazione che si perde tra riferimenti ad una certa guasconesca e cialtrona attività avventurosa alla Errol Flynn (come da esplicita ammissione dello stesso Sommers), ricorre al fascino della vicenda storico-irrazionale (mi si perdoni l’eccesso ossimorico) alla Indiana Jones (di cui, purtroppo, si cerca di assumere lo humour tutto spielberghiano, ma la lotta è francamente impari...), cerca di suggestionare con allusioni ad un cinema fatto di mostri provenienti dall’oltretomba (Romero, che tra l’altro aveva pronta una sceneggiatura per La mummia già dal 1987, Rodriguez con il tarantiniano Dal tramonto all’alba, a sua volta specchio postmoderno di altre innumerevoli citazioni) o da improvvisi ammiccamenti di cinefilia spiccia e non sempre appropriata (la mano che spunta improvvisamente in piano ravvicinato dalla sabbia desertica è il contraltare sahariano di tutte le pellicole che segnalano semplicemente come si sia molto molto lontani dalla soluzione dell’intrigo). La mummia è molto candidamente, nella sua estrema ingenuità, un film sul cinema, su quello realizzato precedentemente ma anche sulla stessa struttura soggiacente alla narrazione. Non è un caso, infatti, che ad un certo punto Evelyn si rivolga all’antipatico personaggio di Beni (disonesto, avido, presuntuoso, ambiguo, infingardo, smidollato e traditore, ossia il peggio del peggio per quanto riguarda lo stereotipo del personaggio negativo - non il cattivo, ma il classico personaggio satellite alla figura del malvagio) ed abbia questo scambio di battute che sa tanto di assunto metacinematografico: “Lo sai che i personaggi odiosi come te fanno sempre una bruttissima fine?”, “sempre?”, “sempre!”. Detto questo, è inutile sorprendersi, come invece ha fatto “La Stampa” di venerdì 27, perché il personaggio del malvagio s’impossessa del nome di Imhotep (architetto, sacerdote e astronomo che ideò la piramide a gradini di Saqqara e poi venne divinizzato ed identificato con il semidio greco Asclepio) senza alcun rispetto della realtà storica: il referente di un film simile non è e non può essere la Storia, ma al massimo le inquietudini e le impressioni derivanti dalla storia del cinema, visto che Imhotep fa riferimento chiaramente al personaggio che interpretava Karloff sessantasette anni fa. Piuttosto, quello che non funziona nel film è altro. Glissando sui notevoli buchi di una sceneggiatura che non decide mai quale tono e registro conferire al film (l’intenzione è da fare un film di avventura con implicazioni horror che viri nell’umoristico, ma le battute dei dialoghi e l’intervento di puerili effetti speciali molto spesso conferiscono un che di ingiustificatamente ed inutilmente farsesco che francamente infastidisce), la costruzione stessa del lavoro lascia un po’ perplessi: perché parteggiare empaticamente con i supposti buoni quando l’altrettanto supposto malvagio non è stato caratterizzato così negativamente da evitare la possibile identificazione? Che cos’è che ha compiuto di così esecrabile Imhotep (oltre all’essersi appropriato del nome dell’architetto, sacerdote e astronomo?) se non quello di aver osato sfidare il potere e la legge del faraone per amore di una splendida principessa? Ed il suo volto, con un ghigno di decadente sofferenza romantica, può avere la stessa connotazione paurosa di un Karloff (già codificato dal pubblico come Frankenstein) o di un Lee (già conosciuto per il successo di Dracula il vampiro dell’anno precedente all’uscita de La mummia)? E la grossolanità della regia quanto è responsabile di un racconto che non riesce (tenendo esplicitamente conto del fatto che si tratta di un film d’avventura) a tenere con il fiato sospeso perché tutto è tremendamente prevedibile? Prevedibile come il sequel che si sta preparando: un piccolo scintillio si rivolge dalla sella di un cavallo dei superstiti al pubblico, qualcosa della tomba è stato conservato, una nuova maledizione si prepara, l’oggetto ammicca allo spettatore e ne prepara l’attesa. Prevedibile anch’essa.