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A, B, C,... Manhattan
Anno: 1997
Regista: Amir Naderi;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 27-01-1998


Naderi ha la tendenza a farsi suggestionare da ritagli e manifesti strappati, come Schwitters, ma senza gli intenti dissacratori del dadaista, di cui s'illude di ridurre il nichilismo con il perseguimento del caparbio senso di giustizia in Il Corridore e con l'oltrepassamento dei legami del passato. A questo scopo usa le foto in di A,b, c, ... Manhattan, all'inizio con l'intento di recuperare la memoria e al termine del film usando le stesse foto in funzione invece di copertine di un capitolo chiuso definitivamente . La memoria viaggia sul filo di un riconoscimento dei motivi del fallimento gia' contenuti nei momenti apparentemente di minore disperazione, il suo superamento corre lungo i muri ripresi con ritmi vertiginosi (quasi che il ragazzino de Il Corridore si fosse spostato a N.Y.), sbrecciati o di un vivido furore rosso, sempre tapezzati da tracce di manifesti e volantini.

Quegli stessi indizi che testimoniano domande d'amore, ricerche di affetti (il cane da Johnny) sogni (le riviste di aerei di Amiro), richiami a manifestazioni (concerti punk) e rimandi a lotte (EZLN) o a film esotici (La polizia incrimina, la legge assolve, pubblicizzato nel porto di Bassora) sono gli spunti di riflessione dispersi da un regista che espone anche nelle gallerie d'arte i suoi collage murali utili per evidenziare una realta' ridotta a brandelli, frammenti che in Iran sono esistenze al limite della sopravvivenza sullo sfondo infuocato della guerra, come nell'immagine finale della tenace corsa verso il ghiaccio illuminata dai pozzi in fiamme, mentre in USA sono drop-out, la cui esistenza e' ridotta a foto sui muri o polaroid di una bambina ormai persa, anche nelle immagini istantanee, di qualche momento prima; lo spazio dei suoi giochi riempito di vuoto, che non trova legittimazione nelle foto.

I brandelli di comunicazione dispersi dallo scorrere del tempo, quello stesso che attribuisce valori diversi alle foto, nate dall'esposizione alla luce in un tempo infinitesimale e sfuggente, urlano dai muri il disperato messaggio: "Cio' che e' successo ieri, succedera' anche oggi. Nulla", si dice a N.Y. prima di enunciare che e' tempo di fare il vuoto; contraltare del lancinante urlo alle navi davanti a Shatt el Arab per dare sfogo al bisogno di fuga del ragazzino, che vive solo a bordo di una nave incagliata e vive la vita sempre come sforzo estremo per conoscere i propri limiti sottolineati da un ansimo del suo respiro affanoso ed il rumore del traffico Newyorkese. Il confine e' rappresentato dall'alfabeto, che conclude il film iraniano e la sua fisicita', inesistente nell'intimismo esistenziale di A, b, c...Manahattan; nel film americano la vitalita' esagitata si trasforma nel vuoto fisico del racconto romantico sognato dal giovane nel bar mentre immagina la seduzione della donna (quella presente nel bar, eppure trasfigurata nella fantasia), accennando alla solita maniera iraniana di confondere realta' e finzione, qui manca la tangibilita' del fatto, solo narrato, e le foto non bastano a dare fondamento ad una realta' sfuggente, ma che puo' ambire ad una palingenesi dopo il superamento delle cause di disamori incestuosi, confusioni promiscue, maternita' sfortunate.