La posizione critica nei confronti di un'opera è sempre più imbarazzante
e imbarazzata. Le perplessità, rilevate tra l'altro da un gustoso
articolo di Giuseppe Petronio di qualche giorno fa (lunedì 7 giugno
1999) sull'Unità sono sempre più evidenti: come distinguere un'opera
d'arte dal kitsch di massa? Pola X è uno dei tanti film che ha spaccato la critica.
Soprannominato anche Sola X, soprattutto da coloro che lo hanno
visto a Cannes, è stato presto rivalutato dalle recensioni seguite
a visioni più tranquille, meno caotiche di quelle festivaliere.
Il decano della critica italiana Morando Morandini ci ricorda
che l'attendibilità dei giudizi decresce proporzionalmente al
numero di ore di visioni consecutive. Il punto è che Pola X offre chiaramente più prospettive di lettura tra le quali il
percorso più canonico, di seguire la vicenda del protagonista,
una discesa agli inferi del maledettismo.
Così Pola X è una variazione a Gli amanti del ponte neuf. Carax ancora maudit, non inventa nulla rispetto al passato,
per di più le motivazioni che spingono il ricco borghese Pierre
a una vita da clochard appaiono del tutto arbitrarie, comunque
superficiali. Perché la sorella Isabelle non è accolta in casa,
perché Pierre per seguirla decide di cambiare la sua vita? e la
storia dello scrittore in preda al sacro fuoco dell'ispirazione
non è uno stereotipo inutile? E potremmo ancora continuare perché
anche i dialoghi sono nebulosi, e forse inutili per capirci qualcosa.
Così a poco a poco ci rendiamo conto che Carax ha fatto un film
che si regge sulla messa in scena di alcune sequenze o meglio
sullo sguardo, il punto di vista che mette in scena ambienti e
personaggi in cui le variazioni di luce hanno certamente un'importanza
non trascurabile. Visioni che penetrano l'immaginario visivo e
vi sedimentano a lungo.
A molti giorni di distanza dalla visione di Pola X, il film, che si è già spezzettato nella elaborazione della memoria,
pulsa ancora, prescindendo dalla storia, anzi proprio prescindendo
dalla storia. La sequenza del bosco in cui Pierre e Isabelle,
si inseguono poi camminano insieme ha una sua identità separata
dal resto del film, la stessa cosa si può dire per la presenza
di Catherine Deneuve, presenza quasi diafana, tra il vampiresco
e il fantasmatico. Pola X potrebbe essere un ottimo film di fantasmi, e le apparizioni
di fantasmi fanno la grandezza del cinema, la presenza materica,
di sostanze che non vediamo, ma delle quali respiriamo lo stesso
la consistenza spirituale dentro l'inquadratura. Spesso i limiti
delle inquadrature attirano lo sguardo, lo spingono ad una morbosa
attrazione per il fuori campo, immagini borderline tout court.
Il cinema di Carax si fonda sulla tensione spasmodica di superare
quei limiti, limiti angosciosi, perché insormontabili e ugualmente
vitali, perché al centro dell'inquadratura c'è un equilibrio precario,
mentre si configura subdolamente una menzogna sempre più insostenibile.
All'inizio la casa e la famiglia borghese, custodi di apparenze
formali e cuore delle ambiguità, delle falsità quotidiane che
consentono un'opaca tranquillità superficiale ed esteriore. Poi
la prospettiva di una nuova possibile realtà che in Carax si colloca
sempre a 360 gradi di distanza da quella iniziale, ne costituisce
il polo opposto, cui si arriva passando per una serie di atti
esplosivi e l'inevitabile deflagrazione finale, il punto di non
ritorno, la conclusione, anch'essa ambivalente, forse anche disturbante
per un pubblico quieto abituato all'happy end. L'effetto disturbante
deriva dalla incapacità di collocare in gabbie logiche, le azioni
di Pierre secondo aspettative prevedibili. Imprevedibilità crescente
non solo dei personaggi ma soprattutto degli spazi, il set che
non è ricostruzione di uno spazio riconoscibile, ma spazio indefinibile,
popolato di corpi alieni, uomini e anche cani, musiche assordanti
e disarmoniche (a proposito si potrebbe aprire una riflessione
su ordine e disordine).
Pola X diventa quasi un X file, un oggetto sempre più distante e sconosciuto.
Il film è così una sorta di metafora dei sottili equilibri della
vita umana, della condizione permanente di instabilità psicologica.