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Matrix
Anno: 1999
Regista: Larry Wachowski; Andy Wachowski;
Autore Recensione: luca aimeri
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 09-06-1999


Matrix, The (1999)

The Matrix (id.); regia e sceneggiatura: Andy & Larry Wachowski; cast: K. Reeves, L. Fishburne, C.A. Moss, H. Weaving, G. Foster, J. Pantoliano. Usa, 1999; durata: 144’.

"Matrix" è un film collegabile in modo diretto ad altre due operazioni interessanti della stagione: "The Truman Show" (di P. Weir), e "Dark City" (di A. Proyas) [cfr. l’ipertesto dedicato a "Dark City"]. L’anello risiede a livello profondo, nello story concept; le tre storie, infatti, sviluppano la medesima "ipotesi drammatica": ‘E se ciò che ci circonda fosse solo un’illusione? Se questa realtà fosse una simulazione, una specie di sogno collettivo indotto, un’allucinazione o addirittura fiction?’ Non è un caso che, nella fitta e coerente rete di informazioni, rimandi e simboli, scopriamo anche che il protagonista, Keanu Reeves/Neo (anagramma di One, l’unico, qui l’"Eletto"), possieda una copia di "Simulacra and Simulation", un testo che appunto si interroga su cosa sia "reale" e cosa "simulazione o simulacro". (Il capitolo che Neo apre è "Sul nichilismo" - cyber-Punk.) Né tantomeno è casuale che la scelta del nome del mentore dell’eroe sia caduta su Morpheus (Laurence Fishburne), ovvero Morfeo - dio dei sogni, figlio di Nyx (la Notte, divinità primigenia sorta dal Caos) e Ipno (portatore del sonno). Tutti e tre i film citati, seppure in direzioni differenti, sviluppano questo concept forte, ricalcano la medesima struttura del racconto e propongono, come essenziale, l’elemento mistico, che a mano a mano che ci si avvicina al finale risulta vieppiù evidente, determinante a livello drammatico e contenutistico. Nascita di nuovi mondi (Dark City), riappropriazione della realtà e ‘rinascita’ (The Truman Show), avvento di un Eletto che guiderà la battaglia contro le Tenebre/le Macchine (Matrix). Le ipotesi science-fiction e il fantastico più a ridosso del nuovo millennio tendono a ispirarsi ai modelli mitici: ansia, o conseguenza diretta della nuova "scuola" di sceneggiatura che sta spopolando a Hollywood? Il testo chiave si intitola "Il viaggio dell’eroe" (strutture mitiche per narratori e sceneggiatori; edito in Italia da Dino Audino, Roma ’98), ed è firmato Christopher Vogler. Vogler ha applicato gli studi sul mito di Joseph Campbell (cfr. "L’eroe dai mille volti", Feltrinelli) al cinema e ne ha tratto un "codice segreto del racconto" composto di 12 tappe; il rispetto dei passaggi chiave nella costruzione dell’avventura dell’eroe garantirebbe alla sceneggiatura un margine di "riconoscibilità" (successo) da parte del pubblico, uno spessore "archetipico", una risonanza. I fratelli Wachowski, al secondo lavoro dopo "Bound-Torbido inganno" (’96), lavorano evidentemente su questa griglia, quantomeno su questi binari, nell’elaborazione del tema; a livello di genere, armonizzano thriller, fantascienza (cyber) e action. Lo spettacolare côté action, in particolare, riesce a coniugare appieno l’ipercinetica lezione hongkonghese (i combattimenti di kung-fu che paiono usciti da una playstation, o le sparatorie-bagno di sangue catartico in puro stile ‘heroic bloodsheed") con la coerenza della progressione del racconto hollywoodiana. Ma la rapidità del ritmo vive soprattutto a livello "concettuale": una velocità strettamente connessa al flusso di informazioni e alla difficoltà di orientamento e ricostruzione della verità (lo spettatore è costretto a perdersi nel labirinto/spirale/videogame di un mondo sconosciuto, non meno dell’eroe). Cinema di effetti speciali? Piuttosto, storie che non potrebbero essere raccontate e rese in tutta la loro potenzialità visiva senza la tecnologia digitale. Quindi, effetti funzionali alla storia, non (solo) viceversa. Infine, l’amore trionfa: Truman, Dark City, Matrix, catalogazione di figure di speranza in scenari costruiti come abissi per vertigini e infinite cadute nel vuoto.