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True Crime - Fino A Prova Contraria
Anno: 1998
Regista: Clint Eastwood;
Autore Recensione: Andrea Caramanna
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 14-05-1999


True crime - Fino a prova contraria

True crime - Fino a prova contraria

"Non so come concepire il bene, se elimino i piaceri del gusto, se elimino i piaceri dell'amore, e quelli della vista e dell'udito" Epicuro

In Fino a prova contraria abbiamo da una parte la descrizione di un carattere, quello del giornalista dell’Oakland Tribune, Everett/Eastwood, con i suoi vizi, il fumo, l’alcol, le donne; dall’altra parte un mondo che vive nell’illusione del politicamente corretto, mentalità a cui manca la facoltà di giudizi obiettivi. Il politicamente corretto (che naturalmente abbraccia anche il razzismo) è una sorta di cloroformio, addormenta i sensi, induce a confondere le responsabilità umane, a scambiarle con il Bene quando invece sono soltanto il Male per un’intera comunità.

Clint Eastwood è, lo abbiamo ormai capito, contrario alle buone maniere, quando queste nascondono soltanto ipocrisia. Il mondo rappresentato nel film è equamente diviso tra chi si comporta "civilmente" e chi invece fa a modo suo, insofferente alle regole imposte da un codice morale che è soltanto il prodotto delle paure e dei più comuni pregiudizi delle società umane. Il caporedattore Bob Findley (Denis Leary) è il tipico perbenista e per questo è disprezzato da Eastwood /Everett. Findley sa che la moglie va a letto con Everett (chiama perfino la propria abitazione dove è sicuro di trovare Everett insieme alla consorte), ma la sua reazione è conforme alle regole civili, controlla che in redazione nessuno, ed Everett in particolare, si metta a fumare nonostante il divieto, vuole un'intervista al condannato a morte da cui traspaia soltanto l’umanità del personaggio in vista dell’iniezione letale, non importa se vien fuori qualche elemento che ne dimostri l’innocenza e che eventualmente possa salvarlo.

Tra i politicamente scorretti, alcuni possono cavarsela anche bene come accade a James Woods, oppure finire male come Everett, diventare degli outsider e bersaglio preferito dei politicamente corretti. Certo Eastwood esagera e sembra quasi un bambino quando si lamenta dei divieti (è possibile che sia inconsapevole dei diritti degli altri?), ma la sua accusa diventa più grave quando ci dice che soltanto a pochi eletti (per lo più i politicamente scorretti) è rimasto il dono del fiuto (un senso dunque), di percepire a naso l’ingiustizia, in questo caso accorgersi dell’errore gravissimo in cui è caduta la giustizia americana condannando a morte un innocente.

Il caso del nero Frank Beachum (Isaiah Washington) scambiato per assassino, più che tematica centrale del film è l’occasione emblematica per dare fondamento alle teorie di Eastwoood. È come se ci dicesse: avete visto? Questo vecchio ubriacone puttaniere è in grado di fiutare la verità e di lottare per essa. Poi la società è pronta a riconoscere i meriti di Everett e lo premia con il Pulitzer, ma lo condanna egualmente alla solitudine.

La vicenda di Frank Beachum (Isaiah Washington)

non è del tutto secondaria. Eastwood descrive momento per momento lo stato d’animo del condannato, la cui forza, spirituale è legata alla fede in Dio. Struggenti sono gli ultimi istanti di Beachum, l’ultimo incontro con la moglie e la piccola figlia e poi il percorso verso l’esecuzione (conosciamo ogni particolare della "procedura"), il suo sguardo che si spegne lentamente alla prima iniezione di sonnifero mentre attraverso la piccola finestra della camera della morte un pubblico sgomento adempie al compito lugubre di testimoniare la "regolarità" dell'evento. Sembra proprio che non ci sia scampo per Beachum, senza l’avvento di un angelo particolare, il giornalista Everett, che su Gesù o roba simile non ha mai contato nella sua vita.

Dalla famiglia unita del nero Beachum passiamo ad un’altra famiglia, quella in pericolo di Everett, anche lui una moglie ed una figlia (sarà un caso?). Everett non è un padre modello: porta la figlia allo zoo, ma poiché ha fretta, un appuntamento con un testimone, trascina letteralmente la bambina sulla bicicletta lungo i sentieri del giardino. Alla fine sotto la spinta brutale del padre la bambine cade, si ferisce e invoca la mamma.

La famiglia di Eastwood/Everett è una famiglia destinata a sgretolarsi. L’adulterio scoperto comporta l’abbandono della moglie. Anche l’istituzione familiare appare scomoda ad Eastwood, il quale continua ad essere sconsolato perché gli altri non lo capiscono, ma ancora una volta ci meravigliamo per il suo sconforto di fronte alle reazioni altrui. Cosa deve fare una moglie se il marito tradisce? Deve forse rimanere accanto a lui come se niente fosse?

Questa innocenza eastwoodiana appassiona per il suo genuino ed ostinato individualismo. E, a parte il fatto di condividere o meno le opinioni di Eastwood, il suo cinema è tra i pochi che hanno il merito di opporsi al conformismo dilagante e alla tendenza del cinema contemporaneo di affidarsi a vuote immagini ipercinetiche, gonfie solo di effetti speciali. E questo cinema avvicina la figura di Eastwood al ritratto dei suoi eroi solitari e scomodi.

Il cinema di Eastwood è fortemente antropocentrico, termine che di solito è utilizzato per autori classici come Bergman, Rossellini, ecc., ha soprattutto il merito di sviluppare il pensiero di un autore con disarmante trasparenza e sincerità e di raccontare esplorando finemente i sentimenti umani. Le immagini di True crime appaiono oltreché classiche, semplici, perché regalano sempre ai personaggi il tempo per esprimersi, non importa se il regista si schiera clamorosamente dalla parte dei personaggi con cui è in sintonia (passano l'esame il direttore Woods, la moglie fedifraga di Findley, i neri poveri, vittime dei pregiudizi dei bianchi ricchi).

Il sentire di Eastwood è un sentire forte, di passioni che si consumano bruciando fino all'esaurimento: il piacere di vivere con i sensi che svigoriscono il corpo, il corpo del protagonista segnato da rughe sincere.