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La Fortuna di Cookie
Anno: 1998
Regista: Robert Altman;
Autore Recensione: luca aimeri
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 27-04-1999


La fortuna di Cookie (Cookie’s Fortune); regia: Robert Altman; sceneggiatura: Anne Rapp; cast: Glenn Close, Julianne Moore, Liv Tyler, Cjris O’Donnell, Charles Dutton, N

La fortuna di Cookie (Cookie’s Fortune); regia: Robert Altman; sceneggiatura: Anne Rapp; cast: Glenn Close, Julianne Moore, Liv Tyler, Cjris O’Donnell, Charles Dutton, N. Beatty, P. Neal, C.B. Vance. Usa, 1998.

Come giocando sulla falsariga del modello di un dramma di/alla Tennessee Williams, la sceneggiatura di "La fortuna di Cookie" ripropone, come ‘arena della storia’, l’ennesima cittadina del Sud degli States (leggi, delta del Mississippi) in cui il tempo pare essersi fermato (una targa ci informa che a Holly Springs non è più successo nulla dal 1897) o quantomeno insabbiato nei ritmi lenti di un posto caldo, umido e troppo tranquillo, che si muove a ritmo di blues e whisky Turkey. I personaggi che lo popolano ripresentano la solita galleria codificata relativa a tale ambientazione: un’anziana zia "originale" che vive di ricordi e fumate di pipa (Patricia Neal); una giovane nipote, "libera e bella" (Liv Tyler), nel pieno di tempeste ormonali in conseguenza delle quali è stata "bollata" dalla comunità; altre due donne della famiglia, bislacche ciascuna a modo suo, una fanatica religiosa (Glenn Close), l’altra catatonica (Julianne Moore); l’afroamericano legato alla vecchia Cookie, fedelissimo (Chales S. Dutton); e le autorità: lo sceriffo (grande pescatore di pesce gatto), il giovane aiutante (bello e idiota), l’avvocato ecc. Tutti, a Holly Springs, sono in qualche modo imparentati, e se non c’è legame di sangue, c’è qualche altra forma di rapporto molto stretto conseguente al fatto che la comunità è piccola e regolata sulle medesime abitudini da un secolo o più. Naturalmente, poi, tutti hanno qualcosa da nascondere e qualcosa di cui sparlare. Altman propone ancora la formula dell’affresco corale: piccola folla di personaggi, ritratti, a volte semplici schizzi/‘appunti’. Una rete di relazioni che emerge da un impianto crime-comedy che occhieggia al grottesco: l’anziana Cookie, non sopportando più solitudine e vecchiaia, decide di farla finita per ricongiungersi finalmente al marito, nell’aldilà. Il suicidio viene camuffato da omicidio dalla Close, in nome della rispettabilità della famiglia. Il plot criminoso è palesemente pretestuoso (d’altro canto non c’è la più pallida ombra di mistery, tutto è –troppo- chiaro fin dall’inizio), mentre nel mirino di Altman sono convenzioni ipocrisia moralismi ecc., ovvero tutto ciò che prevedibilmente può emergere dalla situazione drammatica e dal contesto detti. Ma appunto nella prevedibilità (che al cinema equivale a "noia", e questo film conferma la validità della regola) risiede il tratto caratteristico di questo lavoro che, nel corpus altmaniano, potremmo classificare come divertissement nell’accezione negativa del termine: "La fortuna di Cookie" non ha mordente, è un semplice gioco sul genere e sugli stereotipi, senza intuizioni né invenzioni, privo cioè di capacità di rielaborazione di un materiale su cui grava come un macigno un’aura di dejà-vu. Alla voluta mancanza di spunti "crime", dovrebbe fare da contrappeso il versante commedy, ma si tratta (anche qui) di un equilibrio mancato: situazioni standard trattate con sciattezza a livello di scrittura, ancor più appiattite dalle velleità virtuosistiche degli attori - le cui performances solo ad una lettura superficiale paiono di livello, ma che, a ben vedere, implicano la definitiva spinta verso il macchiettismo. Parimenti, sul versante della regia, risulta difficile scovare delle sorprese: alla piattezza di sceneggiatura, ai ritmi diluiti e rallentati dell’invadente commento musicale (onnipresente, tanto da piallare definitivamente la tavola drammatica), Altman fa corrispondere una (non-)ricerca che si muove in direzione dell’oleografia e della "grazia", sortendo effetti di delicatezza cartolinesca. Se la volontà era quella di scardinare attraverso l’ironia una realtà immobile, il film fallisce; se, al contrario, l’obiettivo era quello di riprodurla, il film è perfettamente coerente e riuscito. Stantio.