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Pleasantville
Anno: 1998
Regista: Gary Ross;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 21-04-1999


Pleasantville
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PLEASANTVILLE


Regia, soggetto, sceneggiatura: Gary Ross
Fotografia: John Lindley
Effetti: Chris Watts, Michael Southard
Scenografia: Jeannine Oppewall
Montaggio: William Goldenberg
Costumi: Judianna Makovsky
Musica: Randy Newman
Produttori: Jon Kilik, Robert J.Degus, Steven Soderbergh
Co-Produttori: Allen Alsobrook, Allison Thomas, Edward Lynn
Formato: 35 mm.
Provenienza: USA
Anno: 1998
Durata: 124'
WILLIAM H. MACY ... George
JOAN ALLEN ... Betty
NATALIE RAMSEY...Jennifer/Mary Sue
KEVIN CONNORS...David/Bud
JEFF DANIELS...Mr. Johnson
TOBEY MAGUIRE... David
PAUL MORGAN STETLER... Consigliere d'orientamento
McNALLY SAGAL... Professore di scienze
JANE KACZMAREK...Madre di David
GIUSEPPE ANDREWS...Howard
REESE WITHERSPOON... Jennifer
MARISSA RIBISI...Kimmy
JENNY LEWIS... Christin
JUSTIN NIMMO ... Mark
DON KNOTTS ... Riparatore TV
ROBIN BISSELL...Speaker Televisivo
HARRY SINGLETON...Mr. Simpson
PAUL WALKER...Skip
DAWN CODY... Betty Jean
MAGGIE LAWSON... Lisa Anne
ANDREA TAYLOR... Peggy Jane
LELA IVEY...Mrs.Petersr
JIM PATRIC...Tommy
MARC BLUCAS...Capitano squadra di basket
STANTON RUTLEDGE...Allenatore
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Un film che mette in scena i buoni sentimenti degli anni che precedettero la rivoluzione dei costumi di metà secolo a cominciare dalla società più consuetudinaria, quella americana, di cui le sitcom sono specchio e parzialmente causa.

Il testo proposto agli spettatori è calibrato perfettamente, attento com'è a porgere battute oblique molto intelligenti, come quella assegnata ad una delle insegnanti della situazione iniziale, ambientata ai giorni nostri, la quale dopo aver pronunciato la parola "carestia" chiede di darne una definizione agli studenti inconsapevoli e distratti da vacui spettacoli, mediatori di ideologie rassicuranti. In quella bella intuizione si pongono a confronto le due condizioni di insegnamento, dove al carrello indietro della situazione contemporanea fa da contrappunto una zoomata avanti sul volto della insegnante di Pleasantville: una realtà isolata in un microcosmo tanto cieco da non porsi il problema di cosa ci sia oltre un confine della cittadina che neanche si immagina possa esistere ("La fine di Main Street coincide con l'inizio"), dove le pagine dei libri sono vuote e, quando si riempiono, vengono bruciate come in Farenheit 451, esplicitamente evocato dalla ricompilazione dei testi grazie alla memoria degli informati (ma forse ancora più sottilmente si riferiva all'anti-maccarthista The Front, Il Prestanome di Ritt), mentre tutta la vita scorre secondo un copione che non si rinnova nemmeno; perciò assimilabile al film di Weir, ma con il pregio di non prevedere alcun demiurgo, né entità cristologiche che possono assistere alla vita senza parteciparvi. In questo caso non si fa appello ad alcuna metafisica e si usa l'espediente di venire risucchiati nel mondo televisivo per ricavare dal viaggio allucinante un'analisi sicuramente più approfondita rispetto a Poltergeist. Inoltre questo scandaglio delle motivazioni e delle espressioni di un ammodernamento dei costumi di fine Fifties viene condotto con perizia tecnica (l'accuratezza dei particolari che inserisce due ragazzi nell'auto piccolissima in campo lungo, pervicacemente in bianco e nero, in quanto ancora normalizzati, in mezzo ad un mondo ormai a tinte pop), geniali soluzioni registiche (la ricostruzione della cittadina e dei luoghi comuni dei telefilm), allusioni sociologiche (i colored sono a tratti incarnazione dei più sensibili alla novità, a volte sono arruolati per la militanza nei diritti civili, altre sono semplicemente metafora della lotta di liberazione degli afro-americani). Ne risulta un film godibile, capace di sottolineare la vacuità e l'ingenuità delle abitudini su cui si fondava quella florida società fatta di cibi sani (e grassi), buone maniere (e ipocrisia) e spensieratezza, con il corollario della depressione per la repressione dei ruoli distinti da una morale bigotta; peccato che non si evidenzino anche le parentele tra le due epoche caratterizzate da ipocrisie di facciata.

Il film fa rilevare con zelo pure eccessivo queste contraddizioni, eppure rimangono due ordini di perplessità: uno, più evidente, è l'insistenza con cui gli autori sottolineano didatticamente il messaggio che si vuol mediare, ovvero il tentativo di illustrare gli elementi che hanno condotto all'esplosione di gioia di vivere degli anni '50 e la conseguente spinta a emanciparsi dall'oscurantismo. L'altra perplessità riguarda i riferimenti che si sono voluti produrre come antesignani di quel movimento: ma davvero si può pensare che la pulsione alla liberazione sia stata influenzata più da D.H.Lawrence di quanto abbia potuto fare On the road ed il movimento beat? Più Dave Brubeck che Charlie Parker? Allo stesso modo il riferimento a Splendore nell'erba ('61) può essere valido, ma è più un effetto che una causa dato che Kazan non poteva che aver rilevato comportamenti da illustrare, mentre forse è stato più dirompente l'apporto di Il Selvaggio (The wild one, Benedek, '54), se proprio è ancora disdicevole proporre Rebel without a cause (Gioventù bruciata fu girato nel '55 da Nicholas Ray), dei quali non v'è quasi traccia.
Insomma sembra che la proposta sia edulcorata rispetto a quello che fu davvero l'impatto sulla società reazionaria e fallocrate.

Affiorano alcuni spunti originali, come la cancellazione del make up della madre (Betty) o la folgorazione del barista di fronte al bignami di storia dell'arte che gli viene sottoposto, perché i pittori sono sensibili ad altri cromatismi (Rembrandt, Tiziano, Sisley, Monet, Van Gogh, Bracque, Matisse, Picasso: l'elenco volutamente lungo serve a dimostrare la innocua banalità delle citazioni, per quanto inattaccabili per la grandezza degli artisti: proprio perciò l'acritica adesione ammirata alle loro suggestioni è poco significativa), o l'insistenza sulla separazione ricercata dai reazionari che vanno in fibrillazione di fronte alla provocazione del murales, coacervo di tutti gli stereotipi pop (Siqueiros era chiedere troppo, benché la data della vittoria del moderno sull'oscurantismo a Plesantville sia fissata al Primo Maggio 1958), a cui oppongono "la filosofia del non-divenire".

Questo testo entra a far parte di quella prassi diffusa tra gli autori americani che negli ultimi tempi stanno cercando di individuare quando, dove e in seguito a quale episodio è andata perduta quell'apparente armonia della società wasp, alla nostalgia per la quale si cerca di dare una spiegazione descrivendone l'oltrepassamento; al contrario del più meditato romanzo Underworld di Don De Lillo, qui traspare un atteggiamento schizofrenico: se da un lato gli autori si fanno beffe del benessere che era invariabilmente incarnato dall'aspetto agonistico (anche se il personaggio del capitano della squadra di calcio è un po' abbandonato, al contrario di quanto filologicamente sarebbe logico attendersi), dall'altro il presupposto di partenza è un'attrazione nostalgica per i vecchi telefilm, considerata incredibilmente plausibile, un'indulgenza che consente di considerare l'intolleranza nazistoide dei ragazzi in b/n una semplice mancanza di consapevolezza che "The time are changing", come qualche anno dopo avrebbe cantato Dylan (Bob, non Thomas colpevolmente dimenticato nel film per lasciare spazio al più rassicurante e baricchiano Salinger, non a caso come sempre accompagnato da Mark Twain, sui romanzi dei quali si intessono episodi stiracchiati, per rendere possibile l'improbabile conversione alla cultura della buzzurra Jennifer degli anni '90, autorelegatasi nella MarySue di inizio '60s).

Finché addirittura tutti gli individui sono coinvolti nel ribollire di desideri repressi a Ufoville, come la definisce la ragazza hipper, e di nuovo ci troviamo ancora una volta ad assistere alla storiella statunitense che attribuisce al carisma di un individuo la capacità di evolvere un mondo trascinandolo alla ribellione, per fortuna il motivo scatenante sarebbe la divertente attrazione per la diversità, che per buona sorte può attizzare un incendio: "Burns, tiger, Burns".





Il sito ufficiale risulta tecnicamente eccellente, come d'altronde è indubbiamente il film.