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Cose molto Cattive
Anno: 1998
Regista: Peter Berg;
Autore Recensione: Adriano boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 09-04-1999


Very Bad Things




CHRISTIAN SLATER
CAMERON DIAZ
DANIEL STERN
JEANNE TRIPPLEHORN
JON FAVREAU
JEREMY PIVEN
LELAND ORSER
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VERY BAD THINGS


Regia: Peter Berg
Fotografia: David Hennings
Montaggio: Dan Lebental
Costumi: Terry Dresbach
Musica: Stewart Copland
Produttori: Michael Schiffer, Diane Nabatoff, Cindy Cowan
Produzione: Polygram Films
Distribuzione: Cecchi Gori
Formato: 35 mm.
Provenienza: USA
Anno: 1998
Durata: 101'
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Very Bad Things, una commedia selvaggia, dice la pubblicità in originale.

Al termine del massacro una disperazione inconsolabile attanaglia Cameron Diaz: tutti i protagonisti sono morti o si dimenano sconclusionatamente su carrozzine, mutilati come reduci. É la risposta alla domanda che Slater/Boyde pone provocatoriamente sul teatro del duplice omicidio: "Come siamo fatti?".

Infatti il film di Peter Berg è assimilabile ad un film sul Vietnam: affronta con toni cinici l'indole violenta degli americani e anche le riprese sembrano costantemente contrapporsi le une alle altre in un dinamismo che raddoppia l'ipercineticità delle sequenze più significative, evidenziando il carattere bellicoso di quella società; si arriva al punto che l'invasato nazistoide proferisce parole enfaticamente ispirate a una dozzinale filosofia della negazione: "L'Inferno è per i codardi e per chi non segue le proprie convinzioni. Questa è una guerra" (non è una frase di Madeleine Allbrihgt). Due in particolare ci introducono alla deriva intollerante che combatte qualunque "integrazione", citata e negata fin dal sottile e insistito rimarcare le origini ebraiche di due fratelli-rivali della combriccola: la prima, resa più claustrofobica dalle inquadrature ravvicinate, sul minivan, poi teatro di una delle più violente ed esilaranti morti, introduce la figura di Boyde, che fomenta l'antagonismo e consente di scoperchiare le modalità con cui s'insinua il tarlo nazista nelle situazioni quotidiane di un gruppo predisposto alla violenza dal semplice fatto di non essere educato al dialogo pacifico; la seconda è quella clou del festino di sesso, droga, alcool e ... disturbi psichici, che culmina con la morte "accidentale" ("Sicuro che sia stato un incidente?") della squillo (asiatica e bellissima). In quest'ultima assistiamo ad uno dei montaggi paralleli più mozzafiato degli ultimi tempi: mentre Michael procede nel coito, stantuffando nel modo più fallocrate possibile, immagini deformate di un video violentissimo scorrono simmetriche nella camera accanto, dove gli amici si perdono negli eccessi dell'addio al celibato, finché conclude il climax insopportabile un tavolino di vetro, esplodendo contemporaneamente al tragico epilogo del bagno (il cui nitore contrasta con l'effetto alla Hermann Nitsch, il pittore dell'Orgien Misterien Theater, prodotto dal passaggio della violenza repressa nei normali wasp: "Sembra l'abbia abitato la famiglia Manson per un mese"), raggiungendo una statica calma (finalmente) che non prelude a nulla di buono. Eppure in quella ridda di situazioni parossistiche il fotografo riesce a farci rilevare la presenza dello spuntone che fatalmente non può non incontrare la nuca della ragazza, sbattuta così brutalmente dall'energumeno infoiato.



Dalla violenza concentrata in quella sequenza sembra possibile ogni turpitudine: la negazione della colpa ("Se cancelli l'orrore della situazione, cancelli la tragedia della morte": un presupposto valido per la negazione di ogni Shoâ); la complice truffa della democrazia imbonitrice descritta attraverso la pratica del voto sulla decisione da prendere, che rende irrimediabilmente complici soltanto per avervi partecipato; l'ipocrisia religiosa che riconosce nel sacrilegio dello sminuzzamento dei cadaveri l'agevolazione della promiscuità degli stessi e dà il via ad una macabra scena comica, che aggiunge presagi oscuri sul quintetto di deprivati, raccolti in una grottesca preghiera sulla falsariga di un kaddish, ricorrente nel prosieguo del film.

L'intento di far risalire alla educazione e all'ambiente la causa prima dell'orrore insito nella società americana, che apparenta Cose molto cattive ai film di Wes Craven (senza lo splatter, ma con alcuni meccanismi registici del gore), è esplicitato dalla parodia della cena di prova costellata di foto della infanzia e dell'adolescenza del gruppo di amici-assassini. S'evidenzia così il perbenismo, ma anche la morbosità di certi microcosmi esclusivi, che nutrono al loro interno recrudescenze incontrollabili e repressioni da ricovero.

L'apoteosi dell'atteggiamento canzonatorio, utilizzato per nascondere il tono predicatorio, si coglie poi nel momento della citazione da Monsieur Verdoux, che sembra levata di bocca ai protagonisti di tutte le guerre ("Se uccidi un uomo sei un assassino, se li uccidi tutti sei Dio"); il pregio in questo caso sta nel proporre la provocazione distanziandosene anche per l'uso di attori da sempre poco corretti politicamente, ma con un cotê comico alle spalle, che gettano una luce più sinistra sulla situazione poco convenzionale, eppure di poco discosta dalla quotidianità.

Vi sono poi altre pregevolezze, come le coppie deuteragoniste, ma tutto sommato simili come Boyde e la sposina o lo stesso Slater e Lois, la moglie di Adam, che lottano fino alla morte secondo movenze che possono richiamare posizioni amorose.

Un quadro di pericolosa convenzionalità molto poco convenzionale.