NearDark
database di recensioni
Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!
Arlington Road Anno: 1999 Regista: Mark Pellington; Autore Recensione: Federica Arnolfo Provenienza: Usa; Data inserimento nel database: 25-03-1999
Untitled Document
Arlington Road
Di Mark Pellington
Con Jeff Bridges,
Tim Robbins, Joan Cusack
|
include "image1.php3"; ?>
|
Torna prepotente sul grande schermo la paura "made in USA" del terrorismo.
Dopo due pellicole tutto sommato buone, "The Peacemaker" e "Attacco
al potere", ecco un film che va ancora oltre e mette lo spettatore di fronte
ad un'ipotesi inquietante: e se il nemico, invece che essere un fondamentalista
islamico o comunque qualcuno che viene da fuori (una minaccia esterna), venisse
dall'interno, fosse vicinissimo, fosse magari il tuo stesso vicino di casa?
C'è di più: "Arlington Road" prende le mosse da un fatto
di cronaca realmente accaduto, l'attentato di Oklahoma City del 1995, dove morirono
72 persone (tra cui 17 bambini). Un attentato dove si pensò immediatamente
al fondamentalismo islamico, salvo poi mettere le mani su uno degli attentori
che era, per l'appunto, un estremista di destra americano fin nel midollo. Attentatore
che divenne il necessario capro espiatorio per coprire le inefficienze del governo.
Ecco quindi come un thriller può diventare anche un forte atto di denuncia
verso un potere che, incapace di fare fronte alle minaccie interne al proprio
regime, preferisce scaricare tutte le responsabilità sul singolo folle
che dietro non avrebbe nessuno (esattamente quanto accadde con Lee Oswald).
Un forte atto di denuncia che culmina, con un coraggio incredibile, nel finale
più spiazzante e difficile da accettare che abbia visto in un film americano
da parecchio tempo a questa parte.
Peccato solo che, come thriller, il film invece non funzioni. Accanto ad una
sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti (certe soluzioni hanno quasi del
fantascientifico, e la puerilità di questi personaggi che continuano
per tutto il film a scambiarsi informazioni fondamentali per telefono è
disarmante) e ad un abuso di tutti i cliché del genere (che francamente,
oltre che inutili, risultano persino fastidiosi in un film di simile impegno
politico - e poi dei soliti inseguimenti in macchina mi sarei abbastanza stancata),
Pellington monta una storia di improbabile paranoia che non mi ha coinvolto
neanche per un attimo (fatta salva - forse - la scena iniziale, a patto ovviamente
di non inserirla nella trama, ché l'ipotesi che il ragazzino si sia ferito
con gli "strumenti del mestiere" del padre è talmente ridicola
che rischia di smorzare tutto il pathos dell'azione). Fino, come già
detto, al finale che basta, in questo caso, a salvare un thriller tutto sommato
mediocre. E, almeno per quanto mi riguarda, fissa un bel precedente: finora
mi era successo spesso di vedere film molto buoni rovinati da un happy end banale
e fuori luogo (pensando alla scorsa stagione cinematografica, mi vengono in
mente due casi esemplari, "Face/Off" e "L.A. Confidential"),
mai il viceversa.
Tirando le somme, ne vien fuori un risultato, per quanto mi riguarda, tutto
sommato non negativo: sicuramente abbiamo a che fare con un film complesso,
impegnativo, ostico, duro. Spurio, forse, è il suo difetto principale:
il suo oscillare continuo tra il thriller classico (non riuscito) e il film
denuncia (ottimo).
Comunque, chi cerca il divertimento a tutti costi, il thrillerone fracassone
alla "Nemico pubblico" è decisamente meglio che resti a casa,
perché questo film non lo soddisferà assolutamente.
|