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Train de vie
Anno: 1998
Regista: Radu Mihaileau;
Autore Recensione: Sergio Franzese
Provenienza: Francia; Belgio; Olanda;
Data inserimento nel database: 26-02-1999


Train de Vie

Train de vie (Un treno per la vita)

Regia: Radu Mihaileanu

Musiche: Goran Bregovic

Coproduzione: Belgio-Olanda-Francia, 1998

Sito Internet: http://www.abid.net/TrainDeVie/

Nostro ipertesto: http://www.etabeta.it/cinemah/traindevie/

 

 

Dopo aver visto "La vita è bella" di Roberto Benigni sicuramente nessuno si sarebbe aspettato l’uscita a breve di un nuovo film sulla "shoah" capace di evocare cose terribili facendo sorridere. Eppure Radu Mihaileanu, regista rumeno di origine ebrea (naturalizzato francese) ha costruito un piccolo capolavoro che solo nell’ultima scena riporta lo spettatore a misurarsi con la realtà.

Questo "train de vie" (treno per la vita), acquistato e rimesso insieme pezzo dopo pezzo da una comunità ebraica di un piccolo "shtetl" dell’Europa Orientale per sottrarsi alla deportazione e fuggire verso la Terra Promessa si fonda su due elementi: la speranza e la follia.

In un mondo fatto di oscuri presagi, quale quello che incombe su questa piccola e pacifica comunità, forse è necessaria una buona dose di follia per continuare a sperare. E dunque agli abitanti dello "shtetl" non resta che abbandonarsi all’idea geniale di Shlomo, lo scemo de paese: lasciare il villaggio fingendosi deportati prima che questo avvenga veramente per mano dei tedeschi. Ed anche a quelli che la sorte ha scelto per interpretare il ruolo dei nazisti non rimane che adeguarsi, imparando a comportarsi come vere SS e, soprattutto, imparando a parlare tedesco che altro non è che "yiddish senza umorismo".

Tutto il villaggio partecipa alle prove generali per quella che sarà una fuga verso la libertà: uomini, donne, bambini, deportati, "nazisti", fino a quando il treno inizia la sua corsa guidato da un macchinista dilettante che lo farà correre sui binari seguendo le istruzione scritte su un manuale e che solo dopo aver percorso molti chilometri si renderà conto che oltre ai binari esistono le stazioni, i segnali, gli orari ferroviari, le coincidenze.

E questi vagoni colmi di strani personaggi proseguiranno il loro viaggio tra mille intoppi, sostando in piena campagna alla vigilia del sabato per consentire ai deportati ed ai "nazisti" di pregare insieme e di chiedere a Dio la salvezza.

In questa variopinta compagnia, che il film ci rappresenta fin dall’inizio in maniera caricaturale, convivono ebrei ortodossi che predicano gli insegnamenti della Torah ed ebrei rivoluzionari che predicano il verbo di Marx. Tutti sprofondano nella depressione quando, all’improvviso, vengono scoperti dai tedeschi ma per fortuna lo spettro del fallimento della loro impresa dura solo pochi istanti: i tedeschi appostati fuori dal treno altro non sono che Zingari, accomunati nella tragedia della persecuzione, i quali hanno avuto la medesima idea di fingersi in parte deportati ed in parte nazisti per sequestrare un treno con il quale fuggire, forse in India, forse altrove, lontano dalla morte.

E da questo incontro nascerà una festa che vedrà gioire insieme a suon di musica Ebrei e Zingari, sorgeranno simpatie, passioni e qualche imbarazzo per la presenza sul treno, divenuto casa comune, dei maiali che gli Zingari porteranno con sé.

Così come non manca di suscitare imbarazzo l’atteggiamento dei finti nazisti che, immedesimatisi a tal punto nel loro ruolo, con il passare del tempo sembrano mutarsi in vere carogne (senza mai però dimenticare che la loro missione è sottrarre la propria gente alla morte). Essi sapranno anzi cogliere i vantaggi di questa metamorfosi che consentirà loro di affrontare i veri nazisti quando sarà necessario farlo.

E finalmente, superati mille ostacoli il treno arriva su una linea di confine. Le bombe cadono da tutte le parti, ma neppure una colpisce il treno, che riesce a passare in mezzo ad esse come Mosé ed il suo popolo tra le acque del Mar Rosso.

Ma è la scena conclusiva a rappresentare una chiave di volta e a dare a questo film il suo vero senso. Pochi istanti capaci di scuotere lo spettatore che per oltre un’ora e mezza, coinvolto dagli avvenimenti e rallegrato da una sapiente colonna sonora firmata Goran Bregovic a base di arie klezmer e rom, avrà creduto di assistere ad una favola …

 

 

Recensione a cura di Sergio Franzese