NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Ronin
Anno: 1998
Regista: John Frankenheimer;
Autore Recensione: Adriano Boano
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 13-01-1999


Ronin
------------ Regia: John Frankenheimer
Sceneggiatura: J.D. Zeik, David Mamet
Fotografia: Robert Fraisse
Montaggio: Antony Gibbs
Costumi: May Routh
Musica: Elia Cmiral
Interpreti: Féodor Atkine, Sean Bean, Bernard Bloch, Robert De Niro, Michel Lonsdale, Natascha McElhone, Jonathan Pryce, Jean Reno, Stellan Skarsgård, Skipp Sudduth, Jan Tríska, Katarina Witt
Produttori: Steven Spielberg, Doug Claybourne, David Foster
Produzione: Frank Mancuso Jr., Ethel Winant
Distribuzione: MGM (Metro-Goldwyn-Mayer)
Formato: 35 mm.
Provenienza: USA
Anno: 1998
Durata: 121
------------


Un classico film di post-spionaggio che patisce gli sbalzi nelle impostazioni delle atmosfere: infatti nel bistrot in cui entra De Niro all'inizio Frankenheimer riesce a mantenere quello stato di sospensione indispensabile per conferire ad un film la giusta aura filmica per sostenere battute altrimenti ridicole, ma in altri momenti clou il racconto perde l'atmosfera e diventa un telefilm; e pure incongruente, a cominciare da subito con professionisti senza un piano dettagliato, ma intenti a curare all'inverosimile elementi marginali.

Allora si può tentare di ricordare i momenti migliori: la Parigi dei vicoli risparmiata dallo sventramento di Haussman ("Non entro mai in nessun posto se non so come uscirne" è la battuta forse allusiva all'uso comunardo degli anfratti parigini comunicanti) è giustamente ripresa immersa nella limpida umidità della capitale francese, però risulta un po' rovinata dall'improbabile episodio lungosenna, girato con geometrie di sguardi e movimenti in tipico stile '70s (Jean Paul Belmondo, Lino Ventura per intenderci), ma purtroppo prendendosi sul serio. Cosa che fa anche De Niro, per la gigioneria del quale si è inventata l'intera sequenza nel magazzino ed la figura del millantatore deriso e sbugiardato: in essa il mestiere del regista insinua già tutte le dinamiche e dai fulminei riflessi di Gregor sappiamo chi sarà l'antagonista; al dubbio resta soltanto la domanda se lo fa apposta o se la sceneggiatura è colma di buchi.

Altro guizzo pregevole è il tentativo di spiegare un motivo per le riprese aeree: erano anch'esse un elemento di spicco del genere spionistico di riferimento e inoltre dovevano essere legittimate. Una bella idea è stata quella di dotare le ricognizioni di una chiave per leggere il metodo con cui agisce il personaggio di De Niro e come il film intenderebbe procedere: per disvelamenti delle lievi variazioni di percorso nel dipanarsi del labirinto di strade; allora trovano un senso ulteriore alla mera spettacolarità anche le frequenti soggettive delle auto che inseguono la strada giusta. Spesso i nuovi episodi, che coincidono con le unità spaziali, si avvalgono di una ripresa dall'alto della città prescelta per ospitare l'azione e con una sola battuta di De Niro si tenta di accreditare l'idea che ci sia qualcosa di diverso da ciò che potremmo aspettarci da quelle immagini da cartolina sulle cittadine provenzali e dalle mappe dei piani stese sulle porte: "La mappa non è il territorio" può significare che l'intreccio apparente non è il film e contemporaneamente proporre come in un trailer incorporato l'anfiteatro di Arles e le locations della Costa Azzurra, che di lì a qualche minuto ospiteranno le gesta del gruppetto di spie.

Il dinamismo è ancor più evidenziato dalle frequenti pause: involontariamente ridicola (per insipienza della giovane attrice) la scopata in macchina, che dovrebbe spiegare l'atteggiamento misericordioso dell'agente CIA nei confronti della donna, che inspiegabilmente fugge alla rivelazione che De Niro è una spia, unica in tutta la sala a non saperlo fin dall'inizio. Dunque si apprezzano in particolare due momenti che dimostrano un'applicazione in fase di realizzazione che sopperisce così all'approssimazione dell'ideazione: il primo tentativo di appropriarsi della valigetta (che probabilmente contiene soltanto le giravolte di Natacha Kirilova, la pattinatrice russa sponsorizzata da Bulgari, e la pigrizia dello sceneggiatore ad immaginarsi una storia credibile), cadenzato opportunamente con riprese degli scontri a fuoco alternate a mezzi tecnici volutamente "poveri" di elettronica per ammantare di uno strato di vecchio le vicende di un gruppo di ex spie disoccupate: il problema è che l'unica concessione alla tecnologia serve per "telefonare" con il portatile battute trite; il secondo è ovviamente l'emozionante inseguimento in contromano. In entrambi i casi il climax faticosamente raggiunto viene rovinato dalla conclusione della sequenza: nel primo caso si opera uno dei più risaputi scambi di valigetta, ulteriormente peggiorato da un'inspiegabile destrezza di De Niro ad accorgersi dello stesso; nell'altro caso la fuga dalle lamiere contorte è consentita dall'improvviso e contemporaneo ottenebramento delle facoltà mentali di Jean Reno e De Niro.

A tratti è imbarazzante la sequenza dell'auto-operazione di De Niro, ferito ad un fianco: ma non per la poco credibile situazione, quanto perché gli autori se ne sono serviti per tentare una spiegazione del riferimento nipponico; il risultato è insopportabile. Ci sarebbero stati i presupposti per una scena intensa, magari sfruttando meglio il plastico con i samurai in miniatura, evocando uno dei racconti dell'Era Meiji approfondendo le figure dei 47 Ronin senza padrone, che preferiscono un'ultima impresa esaltante e poi il suicidio rituale. Invece il racconto s'impappina e i due eroi non ricordano neanche più bene che il motivo della scena era cementare la loro amicizia attraverso la ardita metafora con i guerrieri giapponesi, il cui destino li accomunerebbe (chissà cosa ne penserebbe Kusunoki Masashige)..

Degno dell'ultimo film di De Palma il montaggio parallelo sui due spari finali che decretano il termine dello spettacolo sul ghiaccio e la fine della pista di Gregor, ma non sanciscono la fine del film, che correttamente (ma quanto ripetitivamente!) recupera tutti i personaggi per collocarli in un indegno cassettino per la prossima avventura (i pochi sopravvissuti). Almeno poteva venire risparmiata l'attesa nel bistrot (tentativo di chiusura ad anello dell'opera, con cui si ribadisce l'unità di spazi dell'intero film), in cui si infila a forza l'attribuzione di uno status di eroi ai due che liberandosi di Seamus-O'Rourke permettono il processo di pace in Irlanda. Ma per favore!